Night And The City

Jules Dassin


 

Tit. It.: “I Trafficanti Della Notte”; Scen.: Jo Eisinger, Dal Romanzo Omonimo Di Gerald Kersh; F.: Max Greene; M.: Nick De Maggio, Sidney Stone; Scgf.: C.P. Norman; Cost.: Oleg Cassini, Margaret Furse; Mu.: Franz Waxman; Int.: Richard Widmark (Harry Fabian), Gene Tierney (Mary Bristol), Googie Withers (Helen Nosseross), Francis L. Sullivan (Phil Nosseross), Herbert Lom (Kristo), Stanislaus Zbyszko (Gregorius), Mike Mazurki (“Strangler”), Hugh Marlowe (Adam Dunn), Charles Farrell (Mickey Beer), Ada Reeve (Molly), Ken Richmond (Nikolas), Eliot Makeham (Pinkney), Betty Shale (Mrs. Pinkney), Russell Westwood (Yosh), James Hayter (Figler), Tony Simpson (Cozen), Maureen Delaney (Anna O’leary), Thomas Gallagher (Bagrag), Edward Chapman (Hoskins), Aubrey Dexter (Fergus Chilk, L’avvocato Di Kristo), Kay Kendall; Prod.: Samuel G. Engel Per 20th Century-Fox; 35mm. D.: 101’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il momento più memorabile del film, e forse di tutto il cinema di Dassin, è l’incontro di lotta libera sul quadrato: vale più di tutte le imitazioni hongkonghesi di Tarantino messe assieme. Una concrezione di cinema e violenza pura, solida, interminabile che il montaggio sfibra fino all’estremo, pur designando al suo interno un osservatore attonito e affascinato dallo scatenarsi di tensioni muscolari e spasmi anatomici. Potrebbe anche essere un pezzo di cinema di Aldrich (e forse anche di Kubrick), per il misto di apparente freddezza, imperturbabilità e terrore muto. Brilla in tutta la scena l’interpretazione di Gregorius, un vero campione della disciplina (Stanislaus Zbyszko) che Dassin ripescò dall’oblio e dalla povertà. È una rappresentazione impressionante dello scontro fisico concepito come dimostrazione plateale del darwinismo sociale contemporaneo: una sorta di sovraesposizione del tema di un’umanità caratterizzata innanzitutto dalla ferocia della solitudine e della lotta per la sopravvivenza. Il resto è un universo urbano davvero mutevole, attraversato da individui in movimento, sterminato per scorci, ambienti, strade, ponti e fiumi che pullulano di ombre e di vita. I bassifondi squarciati da lampi improvvisi, la pulsazione della folla, l’underground sociale di una grande metropoli scovato nei più remoti anfratti sembrano, a distanza di anni, risentire anche della ventata che il neorealismo italiano aveva rapidamente diffuso in tutto il mondo, pur se la costruzione dell’inquadratura, in cui una profondità ricca di dettagli si oppone alle prospettive ravvicinate dei primi piani e le fonti di luce piovono spesso con violenza dal lato e dall’alto, mantiene con determinazione lo stile visivo del noir. Insomma, Dassin allo stato aereo, in cui il cinismo del crime movie è dolcemente applicato ad una sorta di palpitante sottobosco dickensiano che ne contamina in modo originale l’atmosfera. Forse è per questa ragione che l’Atlantico divide nettamente i giudizi sul film: la critica americana lo giudica a tratti quasi con imbarazzo, quella europea lo considera, perlopiù, il miglior film del suo autore.

Mario Sesti

Copia proveniente da

Restauro Dell’edizione Americana