Native Land

Leo Hurwitz

Scen.: David Wolff, Leo Hurwitz; F.: Paul Strand; Mo.: Leo Hurwitz; Mu.: Marc Blitzstein; Su.: Ralph Asseev, Bob Stebbins; Int.: Paul Robeson (narratore), Fred Johnson (Fred Hill, fattore), Mary George (Sig.ra Hill), John Rennick (figlio del Sig. Hill), Amelia Romano (lavavetri), Houseley Stevenson (mezzadro bianco), Louis Grant (mezzadro nero), James Hanney (Mack, presidente di unione), Howard da Silva (Jim, informatore), Art Smith (Harry Calyle), Bert Conway, Richard Bishop (spia), Charles Jordan, Vaugh King (Mary) Robert Strauss (Frank Mason, droghiere); Prod.: Frontier Films, Inc.
35mm. D.: 80′. Bn. 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Questa è la terza grande sintesi di sinistra alla vigilia di una rivoluzione mondiale che non venne mai. Il tedesco Kuhle Wampe e il francese La vita è nostra (che mescolavano anch’essi documentario ed elementi di finzione) precedettero questo capolavoro americano. Come questi film, Native Land sommava elementi nazionali: era la sintesi della Frontier Films, che ospitava artisti come Herbert Kline, John Howard Lawson e Ben Maddow (destinati a diventare due grandi sceneggiatori), Jay Leyda e Lewis Jacobs (famosi storici del cinema), e i futuri registi Irving Lerner, Elia Kazan e Sidney Meyers. A questi si aggiungevano Paul Strand (uno dei grandi fotografi dell’epoca) e Leo Hurwitz. La prima di Native Land avvenne nel peggiore momento possibile, solo pochi mesi dopo l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. Nel 1942, quando arrivò sugli schermi, Native Land apparve come una scomoda curiosità: un film spietato sulla lotta di classe in un momento in cui la linea politica ufficiale richiedeva un’unità nazionale senza tentennamenti. Strange Victory di Hurwitz avrebbe poi mostrato quanto fosse fragile e fittizia questa unità. Possiamo facilmente supporre che due anni prima Native Land sarebbe potuto diventare uno spartiacque nella storia del cinema, anche agli occhi del grande pubblico, insieme al quasi contemporaneo Quarto potere. Native Land era un’avventura: finzione dentro il documentario e viceversa, perfetta padronanza della forma breve all’interno di una storia epica, piccoli momenti in cui nella Storia viene scolpita la fisionomia della razza umana. Erano proprio al centro della Storia, tanto che pensando alle carriere di Hurwitz e Strand possiamo forse rubare il titolo di un film di D.W. Griffith, cambiandolo leggermente: Heart of the World, “cuore del mondo”. Native Land è un film dal ritmo episodico che mescola razzismo, lotta di classe, gangsterismo nei sindacati, Lehrstücke sul capitalismo americano e i brutali elementi quotidiani del razzismo, del fascismo, del gangsterismo contro i lavoratori e del Ku Klux Klan dietro una facciata presentabile. Potrebbe essere un film didattico, un esercizio speculativo, ma non lo è. C’è uno splendido equilibrio tra il dramma raccontato attraverso una sequenza di racconti feroci e realistici (che mettono in scena perlopiù fatti realmente accaduti nel duro mondo del lavoro degli anni Trenta), ci sono parole precise e talvolta eloquenti e forse soprattutto c’è la pura bellezza visiva. Anzi, l’elemento più sconvolgente del film potrebbe essere rappresentato dalle immagini del New England offerte da Strand, che documentano la possente bellezza della natura, i fiumi della Storia e le tensioni della lotta sociale come componente umana e organica di tutto questo. È un film patriottico profondamente sentito, “vitalmente americano come Carl Sandburg”, come scrisse un anonimo su “Time” nel 1942. Non ci sono celebrità in questo film, tranne una: la voce di Paul Robeson, il grande cantante basso-baritono, forza potente nella lotta di classe. La singolare risonanza dell’interpretazione di Robeson contribuisce alla tonalità di fondo di quella che è forse una delle migliori colonne sonore della storia del cinema (e questo ci permette di aggiungere un altro nome glorioso, quello del compositore Marc Blitzstein, uno dei più stretti collaboratori di Orson Welles).
(Peter von Bagh)

 

Copia proveniente da

Restauro realizzato da

Stanford theatre film laboratory

Restaurato dal negativo originale nitrato