MY SON JOHN
T. it.: L’amore più grande; Sog.: Leo McCarey; Scen.: John Lee Mahin, Myles Connolly, Leo McCarey; F.: Harry Stradling; Mo.: Marvin Coil; Scgf.: Hal Pereira, Robert Flannery; Mu.: Robert Emmett Dolan; Int.: Helen Hayes (Lucille Jefferson), Van Heflin (Kenneth Stedman), Robert Walker (John Jefferson), Dean Jagger (Dan Jefferson), Frank McHugh (Padre O’Dowd), James Young (Ben Jefferson), Richard Jaeckel (Chuck Jefferson), Minor Watson (Dr. Sam Carver), Irene Winston (Ruth Carlin), Todd Karns (Bedford); Prod.: Leo McCarey, Rainbow Productions, per Paramount Pictures 35mm. D.: 122’. Bn.
Scheda Film
My Son John è un’apoteosi per diverse ragioni. È un film perverso ma illuminante sul problema della famiglia, nello stile lucido del cinema di Douglas Sirk e di Bigger than Life di Nicholas Ray: tutto nominalmente a posto, tutto diverso e distante, un tuffo nel cuore delle cose, per trovarvi soltanto tragedie e vuoto. Un film che sottolinea anche l’anti-intellettualismo tipico dell’epoca. John è un intellettuale, i cui soli rapporti umani si limitano ai funzionari del Partito. È ormai indifferente ai commoventi richiami della madre, un crimine difficilmente giustificabile nell’universo di Leo McCarey.
Il percorso di una madre americana, che la porta a dire a un agente dell’Fbi, “Portatelo via! Deve essere punito!” non è, come in Unione Sovietica, un mero formalismo, ma una vera e propria via crucis tormentata. La famosa attrice teatrale Helen Hayes interpreta meravigliosamente la madre che si aggrappa al figlio John (Robert Walker), il quale incarna una presenza oscura e minacciosa, ricordando un perverso fuggiasco di qualche noir di serie B. Sembrano venire da pianeti diversi: la recitazione vuota di Walker e l’interpretazione tragica della Hayes sono rese toccanti da un uso liberamente associativo di elementi kitsch e lo scontro è elettrizzante. Il momento più alto è una scena scioccante in cui John, senza esitare, giura il falso con la mano sulla Bibbia.
Il padre [anti-intellettuale] (Dean Jagger) è un vero sciocco, ma intuitivamente vicino alle istanze dell’epoca. La madre, che secondo Robert Warshow è “trattata come se fosse la bandiera americana”, è più tollerante, anche quando il figlio critica aspramente la stupidità urlata del padre. La madre è ben presto portata al limite della sopportazione e scoppia in lacrime. Poi interviene il deus ex machina, quando i comunisti uccidono John. Per fortuna “la spia americana” ha registrato un messaggio che si diffonde da un enorme altoparlante, confondendosi con un coro di angeli. (Fortunatamente l’attore Robert Walker aveva già registrato la sua tragica confessione prima della sua morte, avvenuta poco prima della fine delle riprese). My Son John è la testimonianza cinematografica più pregnante sulla necessità (poi il dovere) di “fare i nomi”. Il film è incentrato sulla lealtà, grande valore dell’epoca, misurata dall’intensità delle emozioni. Non importa nient’altro, neanche agli occhi dell’FBI.
Peter von Bagh