Mother India

Mehboob Khan

T. it.: Madre India. Dial.: Wajahat Mirza, S. Ali Raza. F.: Faredoon Irani. M.: Shamsuddin Kadri. Scgf.: V. H. Palnitkar. Mus.: Naushad. Canzoni: Shakeel Badayuni. Int.: Nargis (Radha), Sunil Dutt (Birju), Raaj Kumar (Shamu), Rajendra Kumar (Ramu), Kanhaiyalal, Mukri (Sukhilala), Jilloo, Kumkum (Champa), Chanchal, Sheela Naik (Kamla). Prod.: Mehboob Khan per Mehboob Productions
35mm. D.: 172′. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

“Tutti i film hindi vengono da Mother India“, ha osservato uno sceneggiatore indiano. Spettacolare e dotato di un intreccio ricco ed esuberante, il film di Mehboob Khan ha finito per assurgere al rango di epica nazionale. Mother India narra la saga di una contadina determinata e coraggiosa, simbolo della capacità di resistenza e di sopportazione dell’intera nazione. I paesaggi rurali dell’India, i ritmi del villaggio e il succedersi delle stagioni si animano grazie a un’evocativa fotografia a colori dominata dai toni caldi e ricchi della terra.

 

Il viaggio epico di una nazione
Mother India fu realizzato nel 1957, esattamente dieci anni dopo la conquista dell’indipendenza. Anche se le vicende narrate iniziano una generazione prima di quell’evento fondamentale, stranamente il film non pare interessato a descrivere il volto della potenza colonizzatrice e preferisce invece scavare nei ritmi dell’antichissima civiltà rurale. Questa sorta di atemporalità è rappresentata da Radha, interpretata da Nargis, un misto di Madre Coraggio e Madre Terra. Con lei, percorriamo il viaggio epico di un intero paese dal buio alla luce.
All’inizio Radha è una giovane sposa che, insieme al marito contadino, lot- ta per arrivare alla fine del mese. La loro è una vita fatta di poca felicità e tanti sacrifici, poiché la maggior parte dei prodotti della loro terra finisce nelle mani di un proprietario terriero. Quando Radha e suo marito decidono di coltivare un misero e arido pezzo di terra, la catastrofe sconvolge le loro vite: il marito perde entrambe le braccia in un incidente e Radha è costretta a dare in pegno al proprietario terriero i suoi gioielli per provvedere ai tre figli. In seguito dovrà cedergli anche il pezzo di terra.
Benché a questo punto il fi ruoti attorno alle tematiche della terra, del sacrifi e di un sistema agrario iniquo, entrano in gioco anche altri elementi: la scomparsa del marito di Radha, che si allontana perché non sopporta l’umiliazione d’essere invalido, e la morte del figlio più piccolo durante un’alluvione. Mentre gli anni passano e i figli diventano uomini, continuiamo ad assistere alle traversie dell’indomita Radha.
Il solo riferimento alla nascita dello stato indiano giunge quando Radha si rivolge ai compaesani in fuga dalle devastazioni dell’alluvione e li esorta a non abbandonare le loro terre e ad aver fede in un futuro migliore. I compaesani ritornano, e in un’immagine dalla forte valenza simbolica si radunano componendo una mappa dell’India. È il 1947: il paese è libero. Il film si sposta sulla duplice lotta di Radha, impegnata da un lato a lavorare la terra con l’aiuto dei figli e dall’altro a domare lo spirito ribelle del figlio minore, il quale nutre un profondo rancore nei confronti dell’aguzzino che ha causato tanti guai alla sua famiglia. Nonostante queste traversie Radha conserva stoicamente una dignità profondamente ancorata a valori saldissimi, quelli di un’India tradizionale che ha assistito a una serie di assalti destabilizzanti rimanendo sempre incrollabilmente fedele a se stessa.
Il film si conclude nell’India indipendente, dove Radha è invitata a inaugurare una piccola diga che porterà finalmente l’acqua ai campi riarsi: la speranza è che si tratti di un nuovo inizio per tanta gente lungamente sfruttata e oppressa.

Saeed Mirza

 

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