Monument Film

Un'opera di Peter Kubelka

35mm: Arnulf Rainer (1960, L.: 177 m. D.: 7′) e Antiphon (2012, L.: 177 m. D.: 7′). Durata totale: ca. 90′, incluse le introduzioni del regista. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

“Amo il mio mezzo espressivo e lo uso come una nave per raggiungere luoghi in cui non sono mai stato, o nessuno è mai stato prima, e dove ogni scoperta è interessante a priori. Ho realizzato Arnulf Rainer senza sapere esattamente come sarebbe apparso sullo schermo perché non avevo la possibilità di proiettarlo o guardarlo a un tavolo di montaggio: non potevo permettermelo. Allora ero molto povero. E come spesso accade, quando si è poveri si è anche più coraggiosi perché non si ha niente da perdere” (Peter Kubelka).

In Arnulf Rainer, il ‘film metrico’ più famoso di Peter Kubelka, il mezzo espressivo è magnificamente ridotto alle sue quattro componenti essenziali: luce, buio, silenzio, suono. A cinquantadue anni di distanza il regista ha deciso di produrre un seguito del film. Non è stata una scelta arbitraria: oggi l’esistenza stessa del cinema analogico è gravemente minacciata da quella che Kubelka considera   un'”acquisizione ostile” da parte della tecnologia digitale nell’ambito della produzione e della proiezione dei film. Il co-fondatore dell’Österreichisches Filmmuseum ha dunque sentito la necessità di tornare a quei quattro elementi fondamentali riflettendoli specularmente. Da amante della musica, Kubelka ha intitolato il film Antiphon, termine che si richiama alla forma musicale basata sull’alternanza di due voci e che deriva a sua volta dal greco antíphōnos (“che suona in risposta”). Ciò che in Arnulf Rainer era nero in Antiphon è bianco, dove c’era il suono c’è il silenzio (e viceversa). Antiphon fa non solo da contrappunto ma anche da complemento al film precedente: insieme essi sono alla base di un’installazione – Monument Film – che si apre con la proiezione di Arnulf Rainer e prosegue con quella di Antiphon. Nel secondo movimento della performance, i due film sono proiettati uno accanto all’altro e infine uno sopra l’altro, fondendosi in uno spazio condiviso dominato dallo sfarfallio delle lampade dei proiettori.
Il carattere monumentale  dell’opera è sottolineato dal ruolo assegnato all’apparato di proiezione. L’opera e il suo mezzo finiscono per coincidere. I proiettori 35mm, liberati dalla cabina, vengono collocati tra gli spettatori. Gli altoparlanti sono posti davanti e non dietro allo schermo.
Descritto dal suo creatore come un “appello a tener duro” in un mondo nel quale l’obsolescenza (in questo caso del cinema analogico) economicamente e ideologicamente indotta è troppo spesso considerata un fenomeno ‘naturale’, Monument Film porta in primo piano la materialità della celluloide. L’alternanza di bianco e nero richiama il processo negativo-positivo che è alla base della duplicazione fotografica analogica. La fisicità della pellicola viene esposta sullo schermo e nello spazio visivo. Proiezione dopo proiezione, sulla pellicola si accumulano graffi, sporco, polvere e altri segni, ricordando allo spettatore che il cinema non è solo un’arte plastica ma anche una performance che ha per palcoscenico la ‘scatola nera’ del grande schermo.

Oliver Hanley