MEET ME IN ST. LOUIS
T. it.: Incontriamoci a Saint Louis; Sog.: tratto dai racconti (1941-42) e dal romanzo (1942) di Sally Benson; Scen.: Irving Brecher, Fred. F. Finklehoffe; F.: George Folsey; Mo.: Albert Akst; Canzoni: Hugh Martin e Ralph Blane; Arrangiamenti: Conrad Salinger; Scgf.: Cedric Gibbons, Lemuel Ayers, Jack Martin Smith; Eff. Spec.: Warren Newcombe, A. Arnold Gillespie, Mark Davis; Cost.: Irene Sharaff; Coreografie: Charles Walters; Su.: Douglas Shearer; Int.: Judy Garland (Esther Smith), Margaret O’Brien (“Tootie” Smith), Mary Astor (Anna Smith), Lucille Bremer (Rose Smith), Leon Ames (Alonzo Smith), Tom Drake (John Truett), Marjorie Main (Katie), Harry Davenport (nonno), June Lockhart (Lucille Ballard), Joan Carroll (Agnes Smith), Henry H. Daniels Jr. (Lon Smith Jr.), Hugh Marlowe (colonnello Darly), Robert Sully (Warren Sheffield), Chill Wills (Mr. Neely); Prod.: Arthur Freed per Metro-Goldwyn-Mayer 35mm. D.: 113’. Col.
Scheda Film
Sin dalla sua uscita, alla fine del 1944, Meet Me in St. Louis non ha mai smesso di incantare. Il calore e la semplicità della sua storia che parla di casa, di cuore, di famiglia aveva un significato speciale per l’America in guerra. Forse oggi il suo fascino è ancora più potente, con la sua capacità di rievocare un mondo e un modo di vivere sempre più lontani da noi.
Era solo il terzo lungometraggio di Minnelli, e il suo primo in Technicolor, ma il suo tocco permea già ogni fotogramma. I tratti del suo stile sono già completamente evidenti: il suo occhio artistico per la composizione, l’ampio uso dei colori, l’orchestrazione dei movimenti, della messa in scena e della direzione degli attori, il gusto, l’attenzione per i dettagli, il senso lirico. La magistrale sequenza di apertura definisce subito la scena e i personaggi: la famiglia Smith, la loro casa di marzapane in stile gotico americano, e la loro città, St. Louis (tutto ricreato pazientemente agli studi MGM). È l’estate del 1903 e tutti parlano della Fiera Mondiale che aprirà la primavera successiva. Il film è strutturato in quattro “atti”, con immagini dell’album di famiglia che prendono vita. Passiamo un anno con i personaggi, scopriamo l’amore col vicino di casa, cantiamo su un tram, proviamo terrore in una buia notte di Halloween (una sequenza fantasmagorica in cui appare la micro-Bernhardt, Margaret O’Brien), e ci tormentiamo alla sciagurata ipotesi di dover partire.
Ma il film di Minnelli è prima di tutto un omaggio alla sua star, Judy Garland, che inizialmente lottò per non interpretare l’adolescente Esther Smith, poiché aspirava a ruoli più adulti. Diretta da Minnelli e fotografata da George Folsey, Judy risplende di luce propria e offre una delle sue migliori interpretazioni, cantando successi come “The Trolley Song”, “The Boy Next Door” e “Have Yourself a Merry Little Christmas”. Prestate attenzione alla meravigliosa e delicata scena in cui Esther e John spengono le lampade della casa: si avverte come questa sequenza possa essere stata girata solo da un regista innamorato della propria stella. Minnelli e la Garland si sposarono l’anno successivo.
Catherine A. Surowiec