Madhumati

Bimal Roy

Sog.: Ritwik Ghatak. F.: Dilip Gupta. Scgf.: Sudhendu Roy. M.: Hrishikesh Mukherjee. Mus.: Salil Choudhury. Canzoni: Shailendra. Int.:  Dilip Kumar (Anand/ Deven), Vyjantimala (Madhumati/Madhavi/ Radha), Johnny Walker (Charandas), Pran (Raja Ugra Narayan), Jayant (padre di Madhumati), Tiwari (Bir Singh), Mishra, Baij Sharma, Bhudo Advani. Prod.: Bimal Roy per Bimal Roy Productions
35mm. D.: 149′. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Madhumati, il più grande successo commerciale di Bimal Roy, è un film atipico per un regista fedele al realismo e fautore di un approccio socialista al cinema: romantica storia di reincarnazione arricchita da canzoni struggenti e da immagini suggestive, influenzò la nascita di un sottogenere del cinema hindi. Il film narra di un ingegnere che una notte trova riparo in un antico palazzo e si rende conto di esserci già stato in una vita precedente. In quella vita lavorava per il signore del palazzo e si era innamorato della splendida fanciulla tribale Madhumati.

Una creatura di nebbia
Lo straordinario risultato di Madhumati sta nel superamento delle convenzioni del film di suspense e horror gotico a favore di una fede tutta indiana nella reincarnazione e nella rinascita, con l’aggiunta  di  elementi derivanti dal patrimonio popolare e tribale. Il primo film significativo a esplorare questo territorio era stato Mahal (1948) di Kamal Amrohi, ma Madhumati si spinge oltre collocando il genere – che possiamo definire ‘gotico indiano’ – all’interno della tradizione ibrida del cinema indiano fatta di melodramma, lasciva furfanteria, umorismo popolare e sequenze di canti e danze. L’intreccio offre avvincenti colpi di scena e corre qualche rischio stimolante: il film è infestato da doppelgänger, dalla vergine tribale Madhumati alla sua apparizione spettrale, la sua sosia Madhavi, e la sua reincarnazione, Radha.

Il talento di Bimal Roy riesce a tenere in equilibrio tutti questi elementi. Maestro acclamato del realismo sociale, il regista sa delineare con estrema precisione le gerarchie del mondo di Madhumati. Osserviamo i rappresentanti di un sistema feudale avido e oppressivo, la popolazione tribale da esso sfruttata e la colta classe media urbana rappresentata da Anand, che simpatizza con i poveri ma è costretto a servire i potenti. Il tragico destino dell’eroina è in realtà “un’allegoria della misera popolazione tribale indiana” (come scrive Jyotika Virdi). La sua vendetta – la vendetta della terra contro i suoi sfruttatori – deve per forza avvenire al di fuori del regno del reale.
La sceneggiatura di Madhumati era stata scritta  dal  regista  bengalese Ritwik Ghatak, che nei suoi film di quel periodo rivelava un interesse quasi etnografico per il mondo tribale indiano: viene da chiedersi come avrebbe scelto di presentare l’eroina se avesse diretto il film. La Madhumati di Bimal Roy è una sorta di archetipo familiare: un’innocente che personifica la natura stessa, come la Shakuntala di Kalidasa e come molte altre ninfe che popolano la letteratura e il cinema indiani. Questa astrazione ormai trita acquista una sorprendente immediatezza tra le mani di Roy. In tutto il film si percepisce la ricerca della vera natu- ra dell’elusiva e mutevole Madhumati, evocata dalla sublime sequenza in cui Anand rincorre la fanciulla in fuga nella nebbia seguendo il suono delle sue cavigliere. A questo livello il film suggerisce che stiamo assistendo all’eterno gioco del desiderio che si snoda attraverso le vite e i secoli. Come sempre nel cinema hindi, l’essenza mistica del film è affidata ai versi di una canzone: “Sono un fiume, eppure ho sete / Parole semplici, ma un profondo mistero”.

Rajesh Devraj