Luci Del Varieta’
Sog.: Federico Fellini; Scen.: Federico Fellini, Alberto Lattuada, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano; F.: Otello Martelli; Mo.: Mario Bonotti; Scgf. E Cost.: Aldo Buzzi; Mu.: Felice Lattuada, Franco Ferrara (Direttore D’orchestra); Int.: Carla Del Poggio (Liliana Antonelli), Peppino De Filippo (Checco Dalmonte), Giulietta Masina (Melina Amour), Dante Maggio (Remo, Capocomico), Giulio Calì (Edison, Il Fachiro), Gina Mascetti (Valeria Del Sole, Soubrette), Enrico Piergentili (Padre Di Melina, Amministratore), Mario De Angelis (Maestro Al Piano), Checco Durante (Proprietario Del Teatro), Folco Lulli (Adelmo Conti, Impresario), John Kitzmiller (Il Trombettista Johnny), Carlo Romano (Avvocato Enzo La Rosa), Franca Valeri (Coreografa Ungherese), Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli (Due Comici Al Night-Club), Silvio Bagolini, Giacomo Furia (Amici Dell’avvocato), Alberto Lattuada (Buttafuori Del Palcoscenico) Sofia Scicolone [Alias Sophia Loren] (Ballerina In Cima Alle Scale); Prod.: Mario Ingrami, Alberto Lattuada, Federico Fellini Per Capitolium Film; Pri. Pro: 6 Dicembre 1950; 35mm. D.: 92′. Bn.
Scheda Film
Al termine di tre anni di collaborazione per film quali II delitto di Giovanni Episcopo (1947), Senza pietà (1948) e Il mulino del Po’ (1949), Alberto Lattuada propose al suo sceneggiatore Federico Fellini di firmare insieme la regia del loro nuovo progetto, Luci del varietà. Lo coinvolse anche nella sfida produttiva di costituire una cooperativa indipendente (comprendente buona parte della troupe, da Carla Del Poggio a Giulietta Masina, da Peppino De Filippo a Bianca Lattuada, da Otello Martelli a Felice Lattuada) e di autoprodurre il film. La storia, ideata da Fellini, nasceva dalla medesima vena ironica e amara di alcuni suoi racconti giovanili, pubblicati nel 1939 in “Cinemagazzino” e soprattutto nella rubrica “Il riflettore è acceso” (1941) del “Marc’Aurelio”. Il mondo sfavillante del varietà, con le presenze sanguigne di comici e prestigiatori e il procace erotismo di ballerine e soubrette, veniva investito dalla disillusione: dietro le quinte, dietro le illusioni di lustrini e paillettes si scoprivano le piccole miserie, lo squallore, le condizioni precarie e promiscue, il fallimento professionale. È lo stesso universo che viene raccontato nel film, seguendo la sfortunata passione amorosa di Checco Dalmonte (Peppino De Filippo), un guitto scalcinato, goffamente opportunista e ormai attempato, per Liliana (Carla Del Poggio), un’aspirante ballerina, fuggita dalla provincia (come Moraldo alla fine dei Vitelloni) e che raggiungerà da sola la sua fortuna. Anni dopo, serpeggiò qualche polemica fra Lattuada e Fellini sulla paternità del film, in larga parte diretto dal primo, ma decisamente felliniano nella struttura frammentaria, nell’andamento picaresco e nel mélange di pietà e spietata sincerità. Nel 1994, Lattuada definirà la lavorazione, “i momenti del nostro lavoro comune”, come “una piacevole droga esaltante”. Secondo Bianca Lattuada, Fellini diresse personalmente la bellissima sequenza delle deambulazione notturna di Checco e i suoi incontri con una fauna umana ai margini della società, prontamente reclutata per uno spettacolo. Fellini aveva immaginato anche una scena straordinaria in cui Johnny, il suonatore nero, all’improvviso liberava la sua natura selvaggia e primitiva, terrorizzando tutti. L’impresa produttiva fu tanto audace quanto sfortunata, anche perché Carlo Ponti produsse in fretta e furia un film dal soggetto analogo (Vita da cani, di Monicelli e Steno, con Fabrizi) per stroncare sul nascere l’esperimento di una cooperativa di cineasti.
Roberto Chiesi