Les Vacances de Monsieur Hulot

Jacques Tati

T. it.: Le vacanze di Monsieur Hulot; Scen., dial.: Jacques Tati, Henri Marquet, con la collaborazione di Pierre Aubert, Jacques Lagrange; F.: Jacques Mercanton, Jean Mousselle; Mo.: Jacques Grassi, Ginou Bretoneiche, Suzanne Baron; Scgf.: Henri Schmitt, Roger Briaucourt; Mu.: Alain Romans; Su.: Jacques Carrère, Roger Cosson; Int.: Jacques Tati (Monsieur Hulot), Nathalie Pascaud (Martine), Louis Perrault (Fred), Micheline Rolla (la zia di Martine), André Dubois (il comandante), Suzy Willy (la sposa del comandante), Valentine Camax (la signora inglese), Lucien Frégis (l’albergatore), Raymond Carl (il cameriere), Georges Adlin (il latin lover sudamericano), Michelle Brabo (la villeggiante), René Lacourt (il passeggiatore), Marguerite Gérard (la donna che passeggia); Prod.: Fred Orain per Cady-Films; Pri. pro.: 25 febbraio 1953 35mm. D.: 88’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Domanda ingenua: che cosa fa Hulot quando non è in vacanza? Qual è la sua attività? Ha un mestiere? Si ignora quasi tutto di lui. Non è che una silhouette, un uomo disegnato che si muove. Tale è la sua sorte di film in film. La sua vettura, una buffa macchina scoppiettante, gioiosamente obsoleta, è risolutamente sfasata. Come chi la guida. Il veicolo è immatricolato 8244 AK 75. Hulot è quindi parigino. Non si sa molto di più. Hulot ha vagabondato per arrivare fino a quella graziosa spiaggia della Bretagna dove, come gli altri clienti, ha le sue abitudini all’Hôtel del la Plage. Una delle qualità del film, fra tante altre, è di farci amare la pensione completa. La campana suona ad orario fisso, tutti vengono dalla spiaggia e si ritrovano nella sala del ristorante. Ci si saluta, gli sguardi si incrociano da un tavolo all’altro, ci si sfiora senza toccarsi. Il cinema di Tati consiste nell’arte di non toccarsi (troppo). Al tennis, quando Hulot serve, con la sua battuta efficace ma così particolare, l’avversario di fronte a lui si trova nell’incapacità di rilanciare la palla. Ipotesi da approfondire: Hulot non crea nessuna alterità, ma la necessità di evitarla. Un atto mancato. Lo stesso al ping-pong, dove la partita si gioca fuori campo. Difficile immaginare Hulot al di fuori delle vacanze. Non è definito dal lavoro ma da un’innata capacità di seminare del disordine, di turbare gentilmente l’ordine pubblico. Ciò non gli impedisce di essere iperattivo. Non si stacca spesso dalla sua canna da pesca, come non si staccherà mai dal suo ombrello in Playtime. Hulot ha sempre l’aria indaffarata, anche se cammina col naso in aria. È un ludione, un eterno fanciullo in un corpo di adulto. L’idea del lavoro è importante in Tati. Il lavoro è la sua ossessione, come avviene per i suoi personaggi. Con questa sfumatura capitale: ognuno lavora al suo ritmo, in una sorta di economia generale atomizzata, improduttiva. Nulla si crea. Ciò che conta è la postura, la gestualità, sorgente di gag. I personaggi delle Vacances de Monsieur Hulot vanno al loro ritmo, secondo la loro energia solitaria, che incrocia continuamente quella degli altri, con rischi di scintilla, di cortocircuito (la lunga scena finale, geniale, del fuoco d’artificio). Al ristorante il cameriere è lento, perché c’è sempre sul suo tragitto, tra la cucina e la sala, un ostacolo, un tempo morto, un avvenimento insolito che perturba il buon svolgimento del gesto. Tati o l’arte della coreografia. Questo diviene ancora peggio in Playtime, secondo un principio di inefficacia generalizzata. È Hulot che, nel ristorante Royal Garden, dà fuoco alle polveri… Il fondamento del cinema secondo Tati: il lavoro della gag, la regia, lo studio millimetrico del gesto, il senso dell’equilibrio e del disequilibrio, tutto ciò obbedisce ad un principio di dispendio, a condizione che questo dispendio non crei nessuna nuova energia. È tutta la finezza dei film di Tati. Monsieur Hulot non è mai prigioniero dei significati che creano le sue attitudini. Lo deve ad un’eterna leggerezza, con il suo cappello, la sua canna da pesca e il suo ombrello. La sua silhouette passa tra le gocce del reale. Da una gag all’altra, la silhouette di Hulot ridiviene ciò che deve rimanere. Hulot esce intatto, uguale a se stesso. Incrollabile nel suo adattamento viscerale al mondo, di cui è tuttavia il rivelatore dei meccanismi incoscienti o invisibili. Monsieur Hulot permette al mondo degli umani e degli oggetti di vivere, di muoversi, di fare rumore, e di svelare allo spettatore i movimenti d’orologeria che reggono l’universo. Senza appesantirsi egli stesso di una responsabilità morale e fisica che farebbe di lui un portaparola o una coscienza critica. Hulot è innocente, non giudica gli altri, allo stesso modo non viene giudicato. Soltanto misurato. Ognuno sa che il cinema di Tati è più sonorizzato che parlato. La memoria o la nostalgia del muto vi agisce in modo caustico, euforico. La musica gioca un ruolo cruciale. Non è (solamente) una musica d’accompagnamento, imprime profondamente il ritmo del film a mò di un ritornello. Ricordatevi di quella delle Vacances de Monsieur Hulot: tatati-tata, tatati-tata… Il ritornello è un’aria che ritorna e che non si dimentica. Che vi ossessiona con una leggera malinconia. Che cosa fa Hulot alla fine del film, quando arriva la fine delle vacanze? Hulot riprende la sua vettura che fa baccano. Ritornerà l’estate prossima, come gli altri clienti dell’hotel. Le vacanze, è fatto per questo. Ne comprende le sottigliezze, e soprattutto l’arte di vivere.

Serge Toubiana, Direttore generale della Cinémathèque française

All’inizio degli anni Sessanta, Jacques Tati rimontò il film, sopprimendo e allungando delle sequenze. Riorchestrò la musica di Alain Romans e rifece completamente la musica e il missaggio sonoro. In quell’occasione, aggiunse l’inquadratura del timbro a colori marchiato dal tampone. Nel 1978 girò una nuova sequenza sulla spiaggia di Saint-Marc-sur-Mer, un’allusione divertita a Lo squalo (1975) di Steven Spielberg, che inserì nella nuova e definitiva versione del film. Le riprese di Les Vacances de Monsieur Hulot iniziarono nel 1951, nel periodo-cerniera in cui si stava per abbandonare la pellicola su supporto nitrato. Il negativo originale del film è composto da diversi supporti (una base maggioritaria di nitrato, accoppiata ad una base di acetato). Per proteggere il negativo originale, si è dovuto restaurarlo manualmente e l’operazione è stata intrapresa dal servizio Preservation di Technicolor North Hollywood. Una volta creato l’interpositivo, è stato scansionato per permettere il montaggio del film nella sua integralità, completato dall’aggiunta dei titoli di testa all’inizio del film e dall’inserimento dell’inquadratura finale, l’unico piano a colori del film. È stato necessario trovare l’equilibrio fra i procedimenti fotochimici e i procedimenti digitali. Una gran parte del restauro del film è consistita nel migliorare o attenuare le transizioni fra ogni piano. Il supporto nitrato del negativo immagine ha giocato un ruolo decisivo nella buona conservazione dei toni originali del film in bianco e nero. Il restauro del suono ha permesso di riscoprire tutto il ventaglio sonoro e gli accenti ritmici del film di Tati, e il lavoro si è basato sul negativo suono che porta l’ultimo missaggio del film (1978).

Sintesi da un testo di Loubna Régragui (Fondation Thomson), Hervé Pichard (Cinémathèque Française), Philippe Gigot (Les Films de Mon Oncle), Tom Burton (Technicolor).

Copia proveniente da

Restauro realizzato da
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Copia restaurata da La Fondation Thomson pour le Patrimoine du Cinéma et de la Television, La Fondation Groupama Gan pour le Cinéma, Les Films de Mon Oncle e La Cinémathèque française a partire dai negativi originali