Le Retour De Don Camillo

Julien Duvivier

T. It.: Il Ritorno Di don Camillo; Sog.: Adattamento Da Raccontidi”Mondo Piccolo – Don Camillo” Di Giovannino Guareschi; Scen.: Julien Duvivier, René Barjavel; F.: Anchise Brizzi; Mo.: Remo Crespina; Scgf.: Virgilio Marchi; Mu.: Alessandro Cicognini; Su.: Bruno Brunacci, William Sivel; Int.: Fernandel (Don Camillo), Gino Cervi(Peppone Bottazzi), Jean Debucourt (Voce Digesù Cristo), Paolo Stoppa (Marchetti), Edouard Delmont (Spiletti), Alexandre Rignault (Il Nero), Thomy Bourdelle (Cagnola), Saro Urzì (Brusco), Charles Vissières (Il Vescovo), Manuel Gary (Il Delegato), Leda Gloria (Maria, Moglie Dipeppone), Luciano Manara (Filotti), Armando Migliari(Brusco), Mario Siletti(Avvocato Stiletti), Marco Tulli(Lo Smilzo), Gualtiero Tumiati(Ciro Della Bruciata, Il Nonno), Giorgio Albertazzi(Don Pietro), Claude Chapelan (Beppo); Prod.: Robert Chabert Per Francinex/Filmsonor/Ariane (Paris) E Giuseppe Amato Per Rizzolifilm (Roma); Pri. Pro.: Parigi, 5 Giugno 1953; 35mm. D.: 115′. Bn

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Julien Duvivier conferì a Il ritorno di Don Camillo una tonalità più amara e malinconica rispetto al primo film. La sequenza con cui si apre – la disillusione che attende don Camillo al suo arrivo nel paese montano, dove crede di essere accolto da una folla festante che invece lo ignora – sembra quasi contraddire lo spirito rassicurante con cui si concludeva Don Camillo. L’esilio temporaneo del prete sembra apparentarlo (sia pure in misura molto più lieve) ad alcuni personaggi di marginali del cinema di Duvivier, anche perché soffre di nostalgia struggente per la sua terra e si affligge per il silenzio del Cristo crocefisso. Le sequenze dell’esilio sono anche le più belle del film, per l’incisività che il regista francese impone al racconto, evi­tando che scivoli nel melenso e mantenendo un sottile equilibrio fra malinconia e ironia. Si pensi alla scena in cui don Camillo scopre il paesaggio brumoso, innevato e nebbioso del suo romitaggio e la desolazione della canonica fatiscente dove dovrà vivere in un isola­mento e in un’indifferenza quasi assoluti.

La versione transalpina presenta importanti differenze rispetto a quella italiana, che subì numerosi tagli da parte della censura. Nella versione francese scopriamo una delle sequenze più poetiche, muti­lata in quella italiana: la via crucis di don Camillo che trasporta il suo vecchio crocefisso fino alla canonica per salvarsi dalla solitudine. Si accascia sotto la croce mentre la neve lo ricopre lentamente, assa­porando una gioia fanciullesca perché il crocefisso gli parla nuova­mente. Duvivier sa evitare ogni retorica ed evoca un clima di magia fiabesca. Nell’episodio in cui don Camillo e Peppone ritrovano un imboscato fascista (Paolo Stoppa), invece, la regia insinua un reali­smo non privo di crudeltà (anche per qualche tratto meschino che rivela nel prete), mentre nel racconto di Guareschi la situazione appariva più blanda. Un altro brano parzialmente tagliato nella ver­sione italiana, è l’incontro fra don Camillo e il figlio di Peppone, che soffre delle scelte paterne per il suo futuro, perché allo studio prefe­risce la vita di campagna. Da ricordare anche l’episodio del dottor Spiletti (Edouard Delmont), un vecchietto decrepito che riesce sem­pre a differire la propria morte e che convince un militante rosso, Nero, a vendergli l’anima. Coproduzione maggioritaria francese, Le retour de Don Camillo uscì prima a Parigi che in Italia. Giovannino Guareschi scrisse una lunga requisitoria contro le aggiunte e i cam­biamenti voluti da Duvivier, che avrebbe voluto concludere il film con la morte di don Camillo, annegato durante l’alluvione e risvegliatosi in un Paradiso che scopre identico al suo amato paesino della Bassa. Ma il regista dovette cedere alla volontà dello scrittore (e soprattutto della produzione). Così fu soltanto in sogno che l’arcipre­te passò a miglior vita, rimanendo deluso, al risveglio, di vedere Peppone e non il Padreterno.

Roberto Chiesi

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