LE JUIF ERRANT – Prologue

Luitz Morat

R.: Luitz Morat. Dir. art.: Louis Nalpas. Sc.: dal romanzo di Eugène Sue. F.: Raoul Aubourdier, Mérobian, André Reybas, Georges Daret, Maurice Arnou. In.: Gabriel Gabrio (Dagobert), Fournez-Goffard (Rodin), Jean Devalde (L’Abbé Gabriel), Maurice Schutz (d’Aigrigny), Silvio de Pedrelli (Djalma), Claude Mérelle (Barone di St. Dizier), Jeanne Helbling (Adrienne de Cardoville), Suzanne Delmas (la Mayeux), Simone Mareuil (Céphise), Antonin Artaud (Gringalet), André Marnay (Ashaverus), Jean Peyrère (Cristo e Rennepont), Charlotte Barbier-Krauss (Françoise), Jean Méa (Mme Grivois), Génia Dora (Rebecca), Suzy Hiss (Rose), Janine Pen (Blanche), Adine Bertin, Rose Mai, Stella Dargis, Jane Pierson. P.: Societé des Cinéromans. L.: 954m, D.: 40’ a 20 f/s’

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Luitz Morat è uno dei molti metteurs en scène quasi sconosciuti del cinema francese. Eppure, anche se i suoi film sono in buona parte invisibili, la sua attività e ricca di molti motivi d’interesse; soprattutto perché Luitz Morat è stato uno dei migliori realizzatori di quella fucina d’immagini che fu la Pathé Consortium Cinéma nel periodo della direzione di Jean Sapène, il Producer che con grande determinazione indirizzò i destini della ditta sui serials e sui colossal, capaci, secondo la sua interpretazione del mercato, di scoraggiare gli americani a introdurre in Francia i loro nuovi sistemi distributivi che avrebbero dato il colpo di grazia alla produzione nazionale. Luitz Morat, di origine ginevrina, inizia a Parigi come attore teatrale, esordendo nel cinema nel 1913 nei drammi che Louis Feuillade realizza per la Gaumont. Un anno più tardi sarà uno dei metteurs en scène della casa della margherita. Autore di oltre una decina di lungometraggi il suo nome è legato essenzialmente alla Cité foudroyée (1924), in cui Parigi viene distrutta da uno scenziato pazzo – un film che impressionò la critica d’epoca ammirata dalle scenografie e dai trucchi di Robert Gys e dalle scene catastrofiche di questa proto-fantascienza francese. Il successo del film lo consacra come uno dei maestri del colossal francese e la Pathé Consortium Cinéma gli affiderà ben tre cinéromans: Surcouf, otto episodi dedicati al re dei corsari, interpetati da Jean Angelo (e in un ruolo minore Artaud), Jean Chouan, con Maurice Schutz, epopea della Vandea realista e, appunto, Le Juif errant. Morirà nel 1928. Di lui, artigiano del cinema, oggi non sappiamo quasi più nulla.

Le Juif errant è tratto da uno dei primi e più popolari feuilleton, scritto nel 1848 da Eugène Sue e, nonostante una storia che abbraccia 18 secoli e segue le avventure di una quindicina di personaggi, Luitz Morat è riuscito ad asciugare la trama semplificandone i passaggi facendoli poggiare sulla più antica regola narrativa del mondo, l’opposizione tra il bene e il male.

Il bene è Marius de Rennepont, un ebreo che nel 1640, durante un Progrom nel ghetto di Varsavia, di fronte alla certezza della morte ha affidato le sue sostanze al mercante ebreo Eléazar. I suoi eredi potranno aprire il testamento soltanto il 13 febbraio del 1830. Essi partiranno dai quattro angoli del globo per giungere in tempo a quell’apertura misteriosa. Ma contro di loro si ergerà lo stesso nemico, il male che aveva ucciso Rennepont, la setta degli Ardenti che cercherà di sottrarre ai legittimi eredi l’enorme fortuna che nei tre secoli i successori di Eléazar avevano saputo custodire e accrescere.

Attorno a questo nucleo narrativo si muovono infinite maschere in un tempo dilatato e attraversato dall’Ebreo condannato dal giorno della Crocefissione ad errare eternamente.

Il tempo è dunque la prima chiave di un film che si snoda per 6.500 metri, cinque episodi, cinque ore di proiezione, sempre sull’orlo di concludersi, ma continuamente rinnovantisi, tanto da far pensare, a metà del racconto, di poter, come un labirinto, rinnovarsi infinitamente.

Che il tempo sia la chiave del film lo si capisce nel dialogo essenziale tra Marius de Rennepont e il vecchio mercante ebreo Eléazar, presso cui ha trovato un momentaneo rifugio, che gli dirà: “si vous me croyez, votre fortune sera restaurée, mais il faut employer l’arme de ma race, l’arme plus puissante; le TEMPS!”

Sembra la regola prima di un Cinéroman, invece è, secondo Sue/Luitz Morat il principio di sopravvivenza degli ebrei.

Ma l’uso della dilatazione temporale non potrebbe da solo giustificare il fascino di questo film che ha nel gusto per la messa in scena uno dei suoi motivi principali; il décor è il motore dell’azione, spazio che genera senso: fin dalla prima inquadratura che vede Ponzio Pilato invocare il parere del popolo di Gerusalemme, e poi via via nelle strade del Ghetto di Varsavia, sull’oceano dove due imbarcazioni si affondano, nella Parigi del 1832, invasa da scene des bals et des courtilles, dal Carnevale, dal Colera; e ancora nei cavalli impazziti, negli incendi, negli incubi.

In questo caleidoscopio di avvenimenti e di luoghi si muovono degli stereotipi di personaggi, interpretati da una schiera d’attori perfetti che danno vita ad un affresco che trova, nella coralità, la sua unità.

Su tutti Rodin (interpretato da un quasi esordiente Fournez-Goffard, che sarà poi il medico de La Chute de la Maison Usher e lo spaventoso Jean Aspelée de La passion de Jeanne d’Arc), “confit en sourires, inquiétant même pour sa souplesse visqueuse”; è il genio del male, il vero artefice della storia che oppone all’eternità dell’Ebreo errante una miserabile umanità; la sua morte segnerà la fine del racconto”.

Gian Luca Farinelli

Copia proveniente da

Restauro realizzato con il contributo di

PROJECTO LUMIÈRE

Restauro realizzato con il contributo del Proiecto Lumière