LE CARROSSE D’OR
T. it.: La carrozza d’oro; Sog.: liberamente ispirato alla commedia “La carrosse du Saint-Sacrement” di Prosper Mérimée; Scen.: Renzo Avanzo, Giulio Macchi, Jack Kirkland, Ginette Doyel, Jean Renoir; F.: Claude Renoir, Ronald Hill; Mo.: David Hawkins, Mario Serandrei; Scgf.: Mario Chiari; Cost.: Maria De Matteis; Ass. R.: Marc Maurette, Giulio Macchi; Int.: Anna Magnani (Camilla – Colombine nella vers. francese), Duncan Lamont (Ferdinand, il viceré), Odoardo Spadaro (Don Antonio), Riccardo Rioli (Ramon, il torero), Paul Campbell (Felipe), Nada Fiorelli (Isabella), Georges Higgins (Martinez); Prod.: Francesco Alliata per Panaria Film, Ray Ventura per Hoche Production 35mm. L.: 2800 m. D.: 102’. Col.
Scheda Film
Facemmo ancora La carrozza d’oro e contemporaneamente altri due film, perché economicamente La carrozza d’oro fu un disastro per noi: non solo per colpa di Luchino Visconti, che nel giro di un anno ci fece spendere centoquaranta milioni per poi non fare nulla, ma anche a causa delle costruzioni che dovemmo fare a Cinecittà. (…) mi consultai con un avvocato, che mi consigliò di rescindere il contratto [con Visconti] ma di trovarmi dei testimoni. Quindi chiamai degli amici miei – cioè Vittorio Sala, Antonio Pietrangeli e Mario Chiari – e li feci nascondere dietro i tendaggi in modo che potessero sentire tutto. Convocai Visconti, gli contestai tutte le sue manchevolezze e gli annunciai che non avevamo più bisogno dei suoi servizi. Lui reagì lanciando delle pesanti accuse. Alla fine lo presi per le spalle, lo trasportai fuori dall’ufficio e chiusi la porta. Due giorni dopo si presentò una commissione di registi con De Sica, Soldati e Bragaglia nel tentativo di farmi riprendere Visconti. Io naturalmente reagii, insistei sul mio diritto di fare quel che volevo; loro se ne andarono per tornare il giorno dopo e continuare il discorso. Insomma, chiudemmo in modo molto simpatico. De Sica era un furbacchione! In seguito capii che forse avrebbe avuto piacere a girare lui il film, però era talmente simpatico che gli si perdonava tutto. Quindi proposi a Blasetti la regia, ma lui rifiutò per solidarietà. Allora mi rivolsi a Camerini, ma anche lui declinò l’offerta. Vedendo che in Italia c’era questo muro di solidarietà per Visconti, decido di andare in Francia. (…) A un certo punto chiama un agente: Renoir era disposto a rientrare in Europa. Così discutiamo le condizioni e chiudiamo il contratto per Renoir: avevamo fatto venire il maestro del maestro! Io lo lasciai libero di fare quel che voleva e lui ricominciò da capo il film: partendo dalla commedia di Merimée, che era una storia fragile, leggera, superficiale (…) Renoir creò un vero capolavoro. Da quella storia superficiale Renoir trasse un film che è diventato un testo sacro cinematografico su che cosa è l’attore. L’attore è uno che può vivere la sua vita o no? Renoir imposta un discorso molto profondo sotto il profilo psicologico e professionistico, dando vita a un film girato peraltro in maniera strepitosa – perché Renoir era un uomo delizioso sotto tutti i punti di vista.
Francesco Alliata, “Il nuovo spettatore”, n. 9, Kaplan, 2005