L’aîné des Ferchaux

Jean-Pierre Melville

T. it.: Lo sciacallo. T. int.: Magnet of Doom. Sog.: dal romanzo omonimo di Georges Simenon. Scen., Dial.: Jean-Pierre Melville. F.: Henri Decaë. M.: Monique Bonnot, Claude Durand. Scgf.: Daniel Guéret. Mus.: Georges Delerue. Su.: Jean-Claude Marchetti, Julien Courtelier. Int.: Jean-Paul Belmondo (Michel Maudet), Charles Vanel (Dieudonné Ferchaux), Michèle Mercier (Lou), Malvina (Lina), Stefania Sandrelli (Angie), Barbara Somers (l’amica di Lou), Edouard F. Médard (Suska), Todd Martin (Jeff), André Certes (Émile Ferchaux). Prod.: Spectacles Lumbroso, Ultrafilm, Sicilia Cinematografica. Pri. pro.: 25 settembre 1963. 35 mm. D.: 96′. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

L’aîné des Ferchaux è uno dei Melville meno conosciuti, un film che si perde in lontananza tra le ombre alte di Lo spione (che lo precede) o di Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide (che lo segue) per non parlare di Frank Costello Faccia d’angelo, o dei Senza nome. Non rientra nella categoria del gangster film, né nella categoria dei ‘casi a parte’ cui appartengono l’ironico Bob il giocatore o la trasferta americana di Le jene del quarto potere. È un film da Georges Simenon, e dunque ancora una volta un film su una fuga e su un’indagine nel profondo dell’identità.
Eppure anche all’interno della ‘famiglia’ simenoniana L’aîné des Ferchaux è un film piuttosto trascurato, ed è da riscoprire quanto naturalmente si collochi tra i migliori (accanto ai film di Duvivier, Renoir, Decoin). Il film nasce sotto strani auspici; l’approccio di Melville non è esattamente devozionale, il primo trattamento è di fatto quasi una sceneggiatura originale. Allo stesso tempo, insiste sul fatto di essersi mantenuto “fedele allo spirito del romanzo”. Sia come sia, questo è un Simenon divorato da un regista che modella il film sulla sua agenda personale, a cominciare dal proprio intenso love affair con l’America.
Ci sono riferimenti apparentemente casuali a fatti recenti o dell’ultima ora, la morte di Edith Piaf (nello stesso 1963), i Kennedy e la crisi cubana (novembre 1962), una canzone di Frank Sinatra dal film di Capra Un uomo da vendere (1959); altri hanno un valore più chiaramente emotivo, come la visita alla casa natale di Sinatra (quel sussurro quasi in apnea, “Frankie boy…” è memorabile quanto il “Bogey…” di Fino all’ultimo respiro), o le citazioni dai film di boxe di Robert Wise.
L’aîné des Ferchaux è un road movie che afferra l’essenziale con un uso vivido e prodigioso del colore, con uno Scope che ci fa sentire probabilmente proprio – mentre per questo film nessuno, né Charles Vanel né Belmondo, mise realmente piede in America: già questa un’impresa di per sé, visto che l’America di Melville risultò abbastanza vera (nello spirito) da guadagnarsi i complimenti dell’ambasciata americana per la sua ‘autenticità’, e da ispirare commenti come “le immagini di questo Sud faulkneriano resteranno nella nostra memoria per molto tempo ancora, dopo che la storia ne sarà scivolata via” (Henri Chapier).
Il cuore del film è la storia del vecchio Ferchaux, che si lega d’affetto al giovane Maudet (“Non dimentichiamo che Maudet è un eroe melvilliano”, suggeriva lo stesso regista): un caleidoscopio sul potere, sul rapporto padre-figlio, sul denaro, sulla gelosia, sulla scommessa dei sentimenti; sembra esserci anche un’inedita corrente omosessuale, ma tutto è in realtà molto più complicato. Più in generale L’aîné des Ferchaux è un film sull’amore impossibile, e per questo forse il più tenero, il più crudele, il più personale film di Melville. Uno strano film, dove una torsione molto simenoniana (o se preferite, melvilliana) ci dice che l’assenza del delitto può essere narrativamente intensa quanto il delitto. L’intensità dell’incompiuto.
Un indizio proviene dallo stesso Melville: il vecchio Ferchaux sarebbe un velato ritratto di Howard Hughes (si aggiunge così un altro tassello al quadro delle rappresentazioni cinematografiche di quest’uomo misterioso, il più essenziale, probabilmente, insieme al personaggio di Robert Ryan in Nella morsa di Max Ophuls). Hughes è un’altra traccia che lega L’aîné des Ferchaux al tempo presente: sparì per sempre dalla vita pubblica proprio mentre si girava il film. La sua assenza, e il vecchio Ferchaux come suo possibile specchio, aggiungono un ultimo tocco conturbante al melvilliano gioco di ombre.

Peter von Bagh

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