La Rabbia. Prima Parte
Prod.: Gastone Ferranti Per Opus Film; Pri. Pro.: Genova, 13 Aprile 1963 Sog., Scen.: Pier Paolo Pasolini; Aiuto-regia: Carlo Di Carlo; Mo.: Pier Paolo Pasolini, Nino Baragli, Mario Serandrei; Mu.: cantidella Rivoluzione cubana, canti della Rivoluzione algerina, canti popolari russi, Adagio di Tommaso Albinoni, danze del XVIII sec.; Voci: Giorgio Bassani (voce in poesia), Renato Guttuso (voce in prosa); Quadri: Ben Shahn, Jean Fautrier, Georg Grosz, Renato Guttuso; 35mm D.: 53′. bn e col
Scheda Film
Nel 1962, dopo avere terminato il suo secondo film, Mamma Roma, Pier Paolo Pasolini accettò la proposta di un piccolo produttore di cinegiornali, Gastone Ferranti, che gli offrì di realizzare un film di montaggio incentrato sul malessere della società moderna. Inizialmente Pasolini avrebbe dovuto realizzare soltanto un episodio su quattro (affidati ad altri registi) ma presto il progetto pasoliniano si dilatò fino alle dimensioni di un lungometraggio. Era il primo esperimento di un “genere nuovo” (come lo definì egli stesso), ossia un mélange di pamphlet politico, analisi storica e sociale e di diario lirico, con due voci che si alternavano, una in prosa (affidata a Renato Guttuso) e l’altra in poesia (a Giorgio Bassani). Il materiale visivo proviene da novantamila metri di pellicola dei cinegiornali di “Mondo libero”, mescolati a filmati provenienti dagli archivi di Italia-URSS, da rotocalchi, con l’inserimento di quadri di Guttuso, Ben Shahn, Grosz e Fautrier. Per ragioni non del tutto chiare, Pasolini accettò di tagliare alcuni episodi significativi, come i funerali di De Gasperi, il ritorno dei resti dei caduti di Cefalonia e soprattutto un profetico brano contro le aberrazioni della Televisione, che egli aveva già lucidamente previsto. La durata del film fu ridotta alle dimensioni di un mediometraggio cui ne fu giustapposto un altro, di lunghezza analoga, che venne affidato a Giovannino Guareschi. Ferranti orchestrò un “duello” fittizio fra i due scrittori, i cui film, in realtà, non avevano nulla in comune, ma l’espediente (assai grossolano) non ebbe fortuna. All’epoca, la critica, perlopiù, deprecò l’accostamento con Guareschi e il film fu liquidato sbrigativamente. Oggi La rabbia di Pasolini appare invece un poemetto per immagini di grande forza visiva e raffinatezza “grafica”, che affronta senza reticenze gli orrori dello stalinismo, la sanguinosa repressione dell’Ungheria e il fallimento del Realismo socialista. Ricorrono come leit motiv immagini di morte (i cadaveri abbandonati al suolo) e di violenza (i corpi martoriati dalle torture durante la guerra d’Algeria). Le fotografie di Marilyn Monroe, vittima per eccellenza dell’industria dello spettacolo, sono accostate ai manichini o alle “bambole” dei concorsi di bellezza, alle visioni da incubo delle esplosioni nucleari. Nel commento, lucido e polemico, Pasolini decifra i primi segni inquietanti della Nuova Preistoria, evocando l’imminente estinzione della cultura contadina e il pervertimento della parola “libertà” sbandierata “con odio” contro l’utopia comunista.
Roberto Chiesi