La Princesse Mandane

Germaine Dulac

Sog : dal romanzo L’Oublié di Pierre Benoît Scen : Germaine Dulac F: Paul Guichard, Lucien Belladone Scgf : Silvagni Int : Edmonde Guy (Mandane), MonaGoya(Simoun),GrozaWesco(Lily de Thorigny), Ernest Van Duren (Étienne Pindère), Jacques Arna (Gerys-Kahn), Paul Lorbert, Yvonne Legear, Valenti Colino (Azyme Electropoulos), Sylvie Mai (Anna), Gérard de Wibo (Michel Voraguine), Geneviève Gargèse, Christian Gérard Prod : Alex Nalpas 35mm L : 1775 m (l orig : 2400 m) D : 74’ a 24 f/s Bn

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Negli anni Venti, Dulac fece frequentemente ricorso all’espressione lirica e metaforica dello sport e della danza, ovvero all’“arte delle armonie gestuali”, per esprimere gli stati interiori dei suoi personaggi e spesso per sovvertire le convenzioni di genere. Nella Princesse Mandane (1928), film commerciale tratto da un romanzo di Pierre Benoît, Dulac evoca attraverso il balletto classico le costrizioni della condizione femminile. Il film narra la storia di un giovane che dopo aver visto il grande film d’avventura Michel Strogoff (Viktor Turžanskij, 1926) immagina di viaggiare nella terra dei tartari dove tenta di salvare una principessa sequestrata nel suo palazzo. Qui Dulac ricorre alla semplice e lineare immagine di una ballerina immobile per evocare la condizione della principessa prigioniera. In una delle immagini di maggior impatto visivo del film, la ballerina – immobile, con l’eccezione di poche limitate e controllate pose – è isolata al centro di una sala immensa, circondata dai guardiani e dagli spettatori che la osservano. Questa composizione traduce visivamente la condizione della giovane eroina, intrappolata in una rappresentazione a uso e consumo degli uomini. L’immagine della principessa – la mise-en-scène della sua femminilità – è oggetto di una fantasia maschilista, esattamente come il corpo fragile ed effimero della ballerina. Dulac, che a quei tempi fu vista ballare con la sua compagna nei cabaret di rue Lepic a Montmartre, utilizzò i ritmi del cinema e della danza anche per affrontare questioni socialmente più controverse come l’omosessualità. Quando viene liberata, la principessa sembra riconquistare il controllo sulla propria immagine. Dapprima la sua libertà passa attraverso il travestimento da uomo, motivo ricorrente dell’opera di Dulac (Ame d’artiste, 1925, e L’Invitation au voyage, 1927). Poi, nel momento culminante del film [spoiler alert], dopo essere stata liberata grazie all’intervento del giovane avventuriero, la principessa lo respinge, gli offre la propria corona in segno di gratitudine ed esce di scena con un’altra donna. Lo sguardo diretto fuori campo dell’avventuriero, sul cui volto si dipinge un’espressione d’orrore, rende esplicito il sottotesto omosessuale. La cornice narrativa del film, che nel finale ristabilisce i ruoli sociali etero-normativi, consentì indubbiamente a Dulac di soddisfare un pubblico più vasto e conservatore.

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