LA MORT EN DIRECT
Sog.: dal romanzo The Unsleeping Eye (1973) di David G. Compton. Scen.: David Rayfiel, Bertrand Tavernier, Géza von Radványi. F.: Pierre-William Glenn. M.: Michael Ellis, Armand Psenny. Scgf.: Anthony Pratt, Bernd Lepel. Mus.: Antoine Duhamel. Int.: Romy Schneider (Katherine Mortenhoe), Harvey Keitel (Roddy), Harry Dean Stanton (Vincent Ferriman), Thérèse Liotard (Tracey), Max von Sydow (Gerald Mortenhoe), William Russell (dottor Mason), Vadim Glowna (Harry), Caroline Langrishe (la ragazza del bar), Bernhard Wicki (il padre di Katherine). Prod.: Bertrand Tavernier, Elie Kfouri, Alain Sarde per Selta Films, Sara Films, Little Bear, Antenne 2, TV 13 Fernseh-und Filmgesellschaft mbH, SFP – Société Française de Production, ZDF – Zweites Deutsches Fernsehen, Corona Filmproduktion GmbH. DCP. Col.
Scheda Film
In un futuro non precisato, sarà bene non guardare negli occhi il proprio interlocutore. Tale è l’implicito consiglio che ci viene da La Mort en direct di Tavernier. Infatti, questi potrebbe avere delle minuscole telecamere inserite nelle pupille e alimentate dalla luce solare o elettrica. E il tuo volto, i tuoi gesti, i tuoi atti più intimi e segreti potrebbero essere trasmessi, magari via satellite, a una mondovisione tesa a trasformare ogni attimo di vita in spettacolo, con te involontario protagonista. […] Ma la vita un po’ per volta viene a noia ai telespettatori affamati di novità. Occorre, quindi, la sua antagonista: la morte. In altri termini, riprendere l’agonia, e poi la morte, segretamente, in diretta. Allora sì che lo spettacolo è garantito! […] Questo lo spunto di partenza che un romanzo avvenirista che David Compton ha offerto a Tavernier per darci un film di ‘fantaetica’, cioè di quella corrente della fantascienza che alle ipotesi cosmiche preferisce le ipotesi sociologiche e coscienziali. In quanto a propositi, quindi, La Mort en direct si apparenta ai film di Watkins, a La decima vittima di Elio Petri, a Fahrenheit 451 di Truffaut.
Callisto Cosulich, “Cinema 60”, n. 140, luglio-agosto 1991
Consumata dall’ansia, tormentata dai dubbi su tutto e soprattutto su sé stessa, poteva dare tutto purché ci si mostrasse generosi quanto lo era lei: “Se hai bisogno di me e sai farlo capire ti darò tutto, purché tu faccia altrettanto. Altrimenti prendi un’attrice più facile. Ecco, prendi Charlotte Rampling”. Si credeva incapace di improvvisare; per i dialoghi era vero, ma nelle emozioni si tuffava come nelle rapide. Le inquadrature andavano avanti ben oltre la loro durata normale. Mi ha insegnato a non dire più “Stop” dove ero solito dirlo. Romy Schneider faceva parte di quegli attori che danno la direzione, la musica della regia. Dettava, quasi imponeva inquadrature molto lunghe, movimenti molto ampi. Se non la rispettavi poteva montare su tutte le furie. Sautet dice che lei gli ricorda Mozart. Io ho pensato soprattutto a Verdi o a Mahler. Durante le riprese ci scrivevamo continuamente, e ho conservato alcune delle sue lettere, alcuni dei suoi biglietti tutti firmati Katherine, dal nome del personaggio del film. Il primo è semplicissimo: “Sarò la tua Katherine, senza alcuna autocommiserazione”. Era entrata completamente nel personaggio.
Bertrand Tavernier, “Positif ”, n. 300, febbraio 1986
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