LA GRANDE OLIMPIADE

Romolo Marcellini


Scen.: Romolo Marcellini, Niccolò Ferrari, Fede Arnaud, Giorgio Cecchi; Pre-Scen.: Gualtiero Zanetti, Sergio Valentini, Donato Martucci, Mario Craveri, Luigi Filippo D’Amico, Romolo Marcellini, Niccolò Ferrari; impostazione tecnica della scen.: Daniele G. Luisi; Commento: Donato Martucci, Corrado Sofia, Sergio Valentini; F.: Aldo Alessandri, Francesco Attenni, Libio Bartoli, Cesare Colò, Mario Damicelli, Renato Del Frate, Giovanni Della Valle, Angelo Filippini, Rino Filippini, Mario Fioretti, Angelo Jannarelli, Luigi Kuweiller, Emanuele Lomiry, Angelo Lotti, Erico Menczer, Ugo Nudi, Emanuele Piccirilli, Marco Scarpelli, Toni Secchi, Renato Sinistri, Giovanni Ventimiglia, Fausto Zuccoli; F. aerea: Mario Damicelli. M.: Mario Serandrei, Jolanda Benvenuti, Alberto Verdejo; Mu.: Angelo Francesco Lavagnino, Armando Trovajoli; Voce narrante: Donato Martucci, Corrado Sofia, Sergio Valentini; Int.: Re Constantine II, Regina Frederika Louise Thyra, Rafer Johnson, Wilma Rudolph, Chris Von Saltza; Prod.: Istituto Nazionale Luce per C.O.N.I.; 35mm. D.: 124’.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il film doveva intitolarsi “Roma”. Quattro lettere così definitive come poteva spararle solo un Fellini undici anni dopo, all’apogeo della sua gloria e dei suoi titoli. Ma certamente, almeno nell’inconscio del Comitato Olimpico (il Coni dell’andreottiano Giulio Onesti) che coprodusse il film con l’Istituto Luce, le riprese dall’alto di San Pietro, del Colosseo, di Castel S. Angelo vogliono risarcire la Città Eterna di questa specie di scherzo, sfregio o bestemmia dell’elicottero che trasporta assieme Cristo e Marcello nella sequenza di apertura della Dolce Vita. Con La Grande Olimpiade si chiude il dopoguerra, la ricostruzione, il cinema centrista. Il centrosinistra farà del documentario un suo territorio di elezione e di caccia. Abebe Bikila, l’etiope scalzo, incarna l’ultima utopia di uno sport edenico e virginale, senza scarpette marchietti business sponsor. Con questo soldato della guardia di Hailè Selassiè la Nike non sarebbe mai nata o avrebbe fatto affari ben modesti. Bikila è l’ultimo straccio sporco e povero. Neorealismo. Naturalmente per modo di dire, perché filmare tutta la maratona, di notte, sull’Appia Antica costò un’enormità. Tant’è vero che la corsa delle corse si prende da sola dieci minuti e ottantasei inquadrature del film montato. Però l’idea di questa strada bimillenaria by night, come non la si era vista nemmeno nella galoppata delle bighe del Quo vadis? di Mervin Leroy e nei fasti della Hollywood sul Tevere (che da questi esterni pagani, da alba del Mondo, prende nuovo respiro e nuovi incentivi) è una delle trovatone del film. La pellicola di Marcellini è un film sui vincitori più che sui partecipanti. Sacrifica attese prove qualificazioni eliminatorie per puntare dritto sui testa a testa, i finali, le vittorie. Ma il risultato finale di quest’opera così ultragrandiosa e così ultranazionalista riuscì ad apparire equilibrato o almeno non sfacciatamente casereccio. Solo il ciclismo fu ritenuto sciovinista. Ma erano anni di eccellenza dei pistards azzurri. Mentre lo spazio dedicato a Livio Berruti, che dentro a un volo di colombe brucia gli sprinter americani, non destò scandalo. La Grande Olimpiade è l’ultimo film antico e il primo moderno sui Giochi. Perché gli eroi sono molti (laddove Jessie Owens, che qui compare come spettatore fra Maria Gabriella di Savoia, Bing Crosby, Georgia Moll e Lea Padovani, fu per la Riefenstahl un mattatore ingombrante). Perché le versioni internazionali furono molte. E almeno due approntate subito: una angloamericana e una giapponese. Da ricordare Adolfo Consolini, Rafer Johnson, Igor Ter Ovanesian, Wilma Rudolph, il duello Kapitonov-Trappè, il flashback greco, la Pompei di Rossellini, le due Germanie unite in un’unica delegazione due anni prima del Muro, Andreotti regista in campo che dà lo start al Presidente della Repubblica Gronchi che deve dichiarare aperti i Giochi. Su tutti la musica del compositore preferito di Orson Welles, Francesco Maria Lavagnino, che riprende un temario e un tappeto musicale di jingles, spunti e contrappunti che aveva venduto dieci anni prima alla Incom di Sandro Pallavicini. Dove ogni news, di ogni origine genere e contenuto aveva il suo stacchetto e le sue noterelle.

Tatti Sanguineti

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