LA DONNA SCIMMIA
Sog., Scen.: Marco Ferreri, Rafael Azcona. F.: Aldo Tonti. M.: Mario Serandrei. Scgf.: Mario Garbuglia. Mus.: Teo Usuelli. Int.: Ugo Tognazzi (Antonio Focaccia), Annie Girardot (Maria), Achille Majeroni (l’impresario Majori), Elvira Paoloni (la cameriera), Filippo Pompa Marcelli (Bruno), Ermelinda De Felice (la suora), Antonio Altoviti (il professore), Jacques Ruet (il medico a Parigi). Prod.: Carlo Ponti per Compagnia Cinematografica Champion, Cocinor, Films Marceau. DCP 4K. Bn.
Scheda Film
A ispirare il soggetto, risalente alla metà degli anni Cinquanta e all’elettivo sodalizio con lo scrittore Rafael Azcona, è la vicenda di Julia Pastrana: donna barbuta nata in Messico nel 1834, viene esibita dal marito impresario nei freak show di vari paesi; mette al mondo un bambino (peloso), che muore subito dopo, raggiunto dalla madre per complicazioni post-partum; il marito li fa mummificare per esibirli nei suoi spettacoli. Ma questa non è la sola fonte del film. Secondo le dichiarazioni di Azcona, “in quel periodo in Spagna si parlava molto d’un miracolo: una ragazzina nel bosco era stata aggredita da malfattori pronti a violentarla. Terrorizzata invocò la Madonna e d’un tratto il suo corpo si coprì di peli…”. Al di là dall’attualità occasionale (ciascuno ha il suo cielo sulla palude), l’episodio ripete un mythos cristiano e rinnova un exemplum agiografico. La medesima narrazione, appena diversificata, si rapprende nel martirio seicentesco di Santa Staraosta: per sottrarsi alle nozze con un principe pagano, la vergine cristiana supplica Iddio di renderla indesiderabile; la grazia viene impetrata, le crescono barba e baffi; il padre s’infuria e la fa crocifiggere. Del resto, il corpo di una martire barbuta è già stato oggetto di devozione dell’ape regina. Altra referenza decisiva: un dipinto di Jusepe de Ribera, detto Spagnoletto: Maddalena Ventura con il marito e il figlio (1631). Una specie di Sacra Famiglia: ma la donna che allatta il neonato è villosa (molto villosa). Il quadro è sconcertante. Visto a Toledo, per Ferreri e Azcona dev’essere stata una folgorazione. Un’immagine surrealista. Se la vicenda di Pastrana fonda il supporto per l’apologo crudele, se il fatto di cronaca fissa un’iconografia popolare e religiosa, il dipinto paradossale è un’immagine movente. Di qui nasce e prolifera il film: per “gemmazione”, direbbe Ferreri. Il quadro di Ribera è stato dipinto a Napoli. Per questo, senza mare, senza Vesuvio, il film è girato a Napoli.
La donna scimmia ottiene il visto di censura l’8 gennaio 1964. Prima proiezione al Metropolitan di Bologna, il 29 gennaio. Come si chiude il film? Maria muore di parto, poco dopo il bambino; il marito Antonio cede i due cadaveri al Museo delle Scienze dove vengono imbalsamati; poi ci ripensa e, reclamati i corpi, li espone in un baraccone da fiera. Questo il terribile, coerente explicit voluto da Ferreri. Tuttavia, in alcune città, viene proposta una edizione mutila: il film si chiude sulla morte (sacrificale) di Maria. Non è ancora chiaro a chi si deve la manomissione (al produttore Carlo Ponti? alla distribuzione?), che testimonia solo di uno zelo censorio non richiesto. Dell’epilogo, poi, occorre una variante sorniona (concordata con Ferreri) nella versione per l’estero: la donna-scimmia perde i peli durante la gravidanza e dà alla luce un bambino normalmente glabro, condannando il marito a un lavoro onesto.
Michele Canosa
Proiezioni
Restaurato nel 2017 da Cineteca di Bologna e TF1 Studio in collaborazione con Surf Film presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata (Bologna, Parigi). I due finali italiani sono conservati dalla Cineteca di Bologna. Il terzo finale della versione francese è stato gentilmente messo a disposizione dalla Cinémathèque Royale de Belgique