JEANNE DIELMAN, 23 QUAI DU COMMERCE, 1080 BRUXELLES
Sog., scen.: Chantal Akerman. F.: Babette Mangolte, Bénédicte Delesalle. M.: Patricia Canino. Scgf.: Philippe Graff. Int.: Delphine Seyrig (Jeanne Dielman), Jan Decorte (Sylvain Dielman), Henri Storck (il primo cliente), Jacques Doniol-Valcroze (il secondo cliente), Yves Bical (il terzo cliente). Prod.: Evelyne Paul, Alain Dahan per Paradise Films, Unité Trois, Ministère de la Culture Française (Belgio) ·DCP. D.: 202’. Col.
Scheda Film
Tre giorni della vita di una donna, una vedova che vive con il figlio adolescente e si prostituisce in casa per sbarcare il lunario. Il ritmo e i rituali della quotidianità, immutabili, finché non cambia qualcosa.
La donna è Delphine Seyrig, eterea e sofisticata icona dalla bellezza quasi irreale, indimenticabile presenza di film quali L’anno scorso a Marienbad, Baci rubati, Peau d’âne, Il fascino discreto della borghesia. Perfetta in contro-ruolo come prostituta di mezz’età, si direbbe, ma di fatto assolutamente splendida nei panni di un personaggio che aveva voluto interpretare a tutti i costi: “con lei”, dice Akerman, “Jeanne uscì dallo schermo e prese vita”. Dietro la macchina da presa c’è Chantal Akerman con il suo stile unico e intransigente (campi lunghi indimenticabili, perfettamente inquadrati e calcolati, immagini fisse come bassorilievi… è tutto assolutamente impeccabile) che si avvale di uno dei migliori direttori della fotografia di quegli anni, Babette Mangolte. Insieme costruirono un preciso universo di colori (quei verdi, quegli azzurri, quei marroni!) e ombre profonde che risultano al contempo belle e angoscianti.
“Ho compreso l’importanza del film molti mesi dopo averlo finito. All’inizio ero convinta di raccontare semplicemente tre giorni della vita di una donna, ma poi ho capito che era un film sull’occupazione del tempo, sull’angoscia: fare le cose nel giusto ordine per non pensare al problema fondamentale, l’esistenza”. Così Akerman a proposito di un film che, presentato a Cannes del 1975, divenne subito una delle opere fondamentali del cinema degli anni Settanta. Dire che Jeanne Dielman è un capolavoro seminale è un eufemismo. Proiettato ai festival, nei cineclub e nelle università di tutto il mondo, ha esercitato un influsso ineguagliabile sul modo di fare cinema spostandone il baricentro verso i gesti e il tempo, e soprattutto verso gli interstizi del tempo, quel non-tempo che il cinema non aveva mai mostrato. In un’intervista del 1976, Chantal Akerman citò le parole di sua madre: “Chantal, nella scena con le patate c’è tutto”. Osservazione penetrante: l’intero film e la sua importanza stanno tutti lì, come in un certo senso gran parte dell’opera di Akerman. Essenzialmente, quella scena ha ridefinito una volta per tutte il cinema e la sua sostanza.
Erano ormai disponibili pochissime copie di Jeanne Dielman, spesso in condizioni mediocri. Di qui la necessità di restaurare il film. Il restauro, eseguito a partire dal negativo camera originale e in stretta collaborazione con Akerman, rientra nel più ampio progetto della Cinémathèque Royale che prevede il restauro di tutti i film della regista.
Nicola Mazzanti