INGE LARSEN
35mm. L.: 1445 m. D.: 75’a 18 f/s R.: Hans Steinhoff. Sc.: Karl Vollmoeller, Hans Steinhoff. Scgf.: Ludwig Kainer, Franz Lück, Alfred Junge. F.: Helmar Larski. C.: Ludwig Kainer. Kinomusik: Alexander Schirrmann. In.: Henny Porten (Inge Larsen), Paul Otto (Barone Kerr), Ressel Orla (Evelyne), Wassilij Wronsky (servitore di Kerr), Paul Hansen (Jan Olsen), Hans Albers, Ludwig Rex. P.: Henny Porten-Film GmbH, Berlino. Pd.: Henny Porten.
Scheda Film
“Scrivere un copione per Henny Porten non è difficile. In quasi tutti i film tiene in braccio un bambino. È sempre una mamma commovente. È sempre infelicemente sposata. Matrimoni immancabilmente caratterizzati dalla disparità sociale. Con un barone, un conte, un principe, perfino con un re. Se solo gli sceneggiatori allargassero di un poco il loro orizzonte tematico, si ritroverebbe a sposare anche un dio.
L’aristocratico coniuge pretende che lei frequenti i balli. Che si comporti come una grande dama avvezza alla mondanità. Lei invece preferisce stare accanto alla culla del suo bimbo o occuparsi della casa. È una tedesca autentica, al cento per cento. Da qui il dissidio. Quando il signor coniuge non è in casa, la baronessa, la contessa, la principessa a mezzogiorno mangia in cucina. Non si sente a suo agio in quei grandi saloni vuoti, solenni, privi di intimità, senza ficus e senza gerani.
Dal 1911, quando apparve sullo schermo per la prima volta, Henny Porten di film in film ha tenuto alto il vessillo dei ricordi e del sogno della donna tedesca del periodo prebellico: e l’ha tenuto vivo nel paese degli orfani, delle tasse, un paese dove mezzo chilo di pane costava un bilione di marchi, e le bambine di otto anni si prostituivano, sconvolto dalle rivolte, da una rivoluzione fallita, dalla fame e dalla sifilide.
Il ricordo della letteratura tedesca e della filosofia idealistica, singolarmente infranto in questa donna. Il ricordo di Goethe. Della famiglia, delle calze sferruzzate in casa. Delle ‘armi scintillanti’ della Germania guglielmina. Della vera poesia. Della culla dell’infanzia, l’amata, tenera, superflua culla. Del caffè vero (non di ghiande tostate) con la panna montata. Il ricordo del viaggio in Italia, con il Baedeker in mano mentre si percorrono gallerie e musei. E delle donne delle quattro K”. (Ismael Urasow, Henny Porten (1926), in Helga Belach (ed.), Henny Porten, Der erste deutsche Filmstar, 1890-1960, 1986)