Il Processo Di Frine
Sog.: da un racconto di Edoardo Scarfoglio. Scen.: Alessandro Blasetti, Suso Cecchi D’Amico. F.: Gábor Pogány, Carlo Montuori. M.: Mario Serandrei. Scgf.: Veniero Colasanti, Franco Lolli, Veniero Colasanti, Dario Cecchi. Mus.: Alessandro Cicognini. Su.: Agostino Moretti. Int.: Vittorio De Sica (il difensore d’ufficio), Gina Lollobrigiga (Maria Antonietta Desiderio), Giovanni Grasso (il presidente del tribunale), Arturo Bragaglia (il pubblico ministero), Vittorio Caprioli (il farmacista), Dante Maggio, Umberto Sacripante, Carlo Mazzarella (testimoni). Prod.: Società Italiana Cines. Pri. pro.: 28 settembre 1952 35mm. D.: 22′. Bn.
Scheda Film
Da: Fondazione Cineteca di Bologna per concessione di Ripley’s Film
Altri tempi è la risposta di Blasetti alla crisi della produzione cinematografica nazionale che nasce dall’esaurimento della grande stagione neorealistica. Un esaurimento che è conseguenza, per un verso, della volontà della classe politica di frenare produttori e registi da ogni tentativo di denuncia sociale, e per l’altro, della necessità collettiva di rimozione del recente, quanto doloroso passato post-bellico. Il film propone una formula insolita ed è il risultato di un audace esperimento, a riprova della capacità di guardare al futuro di Blasetti. In un dattiloscritto datato 1952, il regista annota: “Racconti, non episodi. Questo ‘zibaldone’, lo ‘Zibaldone numero uno’ che prende il titolo commerciale di Altri tempi non è infatti un film a episodi, è un film di racconti […] completamente indipendenti l’uno dall’altro”. Si tratta di novelle del secondo ottocento; Meno di un giorno di Boito, Il tamburino sardo di De Amicis, Questione d’interesse di Fucini, L’idillio di Nobili, La morsa di Pirandello e Il processo di Frine di Scarfoglio. Tra il 1950 e il 1952, anni cruciali per la battuta d’arresto che subisce il sodalizio De Sica-Zavattini, dopo l’ingrata accoglienza subita prima da Miracolo a Milano e poi da Umberto D., Vittorio De Sica è costretto a dismettere i panni del regista neorealista per tornare attore, diventando “strumento di quella esplorazione antropologica del carattere nazionale” che – come scrive Anna Masecchia nel recente volume Vittorio De Sica, storia di un attore – domina il nostro cinema italiano per tutto il decennio successivo. Blasetti impone il suo nome alla produzione, ma De Sica esita, soprattutto dopo aver saputo che non sarà più il protagonista di un breve apologo dal titolo De Consolatione philosophiae di Pisani Dossi, perché eliminato dalla selezione degli episodi, ma sarà l’istrionico avvocato che difende la ‘maggiorata fisica’ in Il processo di Frine. Ma De Sica alla fine recita magistralmente quel ruolo, rimodulando i suoi molteplici talenti sulle frequenze dell’Italia piccolo-borghese della quale diventa un interprete indiscusso. Dal prospetto degli incassi pubblicato su “Cinemundus” il 18 febbraio 1953 si evince che il film ha un esito trionfale. Giovanni Calendoli, nelle pagine di “Il lavoro illustrato” del 7 settembre 1952 scrive: “La sorridente apoteosi di Blasetti ha, dunque, un tono fondamentalmente enfatico e voluto, tranne nell’ultimo episodio, in quel Processo a Frine desunto dal racconto di Scarfoglio, il quale in realtà si sottrae alla logica generale del film. […] La bella e istruttiva immagine dell’Ottocento offerta dagli altri episodi del film se ne va a gambe per aria con questo episodio conclusivo, il quale appare il più evidente, il più persuasivo, il più scattante nel suo salace umorismo non solo per la prorompente scollatura di Gina Lollobrigida, più e più volte messa in luce, e per la gustosa recitazione di Vittorio De Sica, ma soprattutto per la freschezza e la vivacità del racconto”.