IL CAMMINO DELLA SPERANZA

Pietro Germi

Sog.: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Pietro Germi, liberamente ispirato al romanzo Cuori negli abissi (1949) di Nino Di Maria. Scen.: Federico Fellini, Tullio Pinelli. F.: Leonida Barboni. M.: Rolando Benedetti. Scen.: Luigi Ricci. Mus.: Carlo Rustichelli. Int.: Raf Vallone (Saro Cammarata), Elena Varzi (Barbara Spadaro), Saro Urzì (Ciccio Ingaggiatore), Francesco Navarra (Vanni), Liliana Lattanzi (Rosa), Mirella Ciotti (Lorenza), Saro Arcidiacono (Carmelo), Angelo Grasso (Antonio). Prod.: Luigi Rovere per Lux Film. DCP. D.: 105’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

È spesso riduttivo agganciare un film a una tematica. Se quindi affermiamo che alla base di Il cammino della speranza si può individuare il tema, ancora molto attuale, dell’immigrazione clandestina, dobbiamo immediatamente precisare che il film è molto di più. Ad esempio, è il ritratto impietoso di un paese lacerato e devastato, o il racconto di una solidarietà civile di secolare tradizione che si sta sfaldando sotto i colpi del progresso e dell’urbanizzazione. Ma è anche un romanzo popolare d’amore, abbracciato a un itinerario di redenzione, alle prese con un cinico disegno truffaldino e con qualche scatto pericoloso di coltelli a serramanico. Germi, come usualmente sa fare, tiene in una condizione di fermo equilibrio il ritratto sociale più duro e un campionario consolidato di effetti drammatico-sentimentali (una maestria da dosatore che gli va riconosciuta anche nei suoi più celebri film successivi, quali Divorzio all’italiana o Sedotta e abbandonata, dove però al dramma sostituirà la sferza della commedia). Il cammino della speranza inizia con la chiusura di una miniera siciliana e la vana lotta dei lavoratori per scongiurare la disoccupazione. Per sfuggire al nulla, un nutrito gruppo di compaesani affida gli ultimi risparmi a un profittatore di miserie, che promette di portare tutti in Francia, dove si racconta ci sia una sorta di Eldorado. Dall’arsura impietosa del Meridione, attraversiamo l’Italia fino alle distese altrettanto impietose delle Alpi. E dopo? Non sappiamo, l’unica certezza è la speranza.

Andrea Meneghelli

Non era una storia molto avventurosa. Si attaccava di più a un aspetto sociale, dalla disoccupazione all’emigrazione clandestina. Forse un senso non avventuroso, ma semmai epico del viaggio e dell’impresa collettiva, con tutti i valori umani che l’accompagnano e che ne formano il tessuto. Non c’era un quadro vasto della società siciliana, non c’erano né mafia né baroni. C’erano i minatori; e poi c’era il latitante, che è quasi immancabile in Sicilia. Era un film corale, di uomini, ciascuno dei quali visto da vicino, ciascuno con la propria storia, convogliati in un viaggio attraverso l’Italia che li respinge, entro la quale non riescono a vivere, e con un’affermazione, con un augurio finale di fratellanza.

Pietro Germi, in L’avventurosa storia del cinema italiano. Da Ladri di biciclette a La grande guerra, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2011

Copia proveniente da

Restaurato da CSC – Cineteca Nazionale a partire dal negativo originale messo a disposizione da Cristaldifilm, integrato da un controtipo positivo e da un positivo sonoro ottico conservati presso Cineteca Nazionale