I PUGNI IN TASCA
Sog., Scen.: Marco Bellocchio. F.: Alberto Marrama. M.: Aurelio Mangiarotti [Silvano Agosti]. Scgf.: Rosa Sala. Mus.: Ennio Morricone. Int.: Lou Castel (Ale), Paola Pitagora (Giulia), Marino Masè (Augusto), Liliana Gerace (la madre), Pierluigi Troglio (Leone), Jeannie Mac Neil (Lucia), Irene Agnelli (Bruna), Celestina Bellocchio (ragazza alla festa), Stefania Troglio (cameriera), Mauro Martini (bambino). Prod.: Enzo Doria per Doria Cinematografica. DCP. D.: 107’. Bn.
Scheda Film
Marco Bellocchio, quasi certamente, è e sarà un regista di prima, forse primissima grandezza. Pare che abbia soltanto venticinque anni. Ciò che ha saputo fare con I pugni in tasca ha perciò del prodigioso. […] No, nessuno dei critici l’ha capito. Perché tutti lo hanno preso per un film tragico, mentre è un film non soltanto umoristico, ma francamente comico. […]
Indicherei tra gli antecedenti del Bellocchio uno scrittore autentico, precocemente scomparso e ancora dimenticato da tutti: Silvio d’Arzo, col suo stupendo racconto Casa d’altri. E lo indicherei non soltanto perché d’Arzo è piacentino come il Bellocchio, non soltanto perché il paesaggio invernale e appenninico è lo stesso nel racconto e nel film, ma perché, in fondo, anche le sue ispirazioni non sono lontane – sebbene veramente tragica quella del d’Arzo e comica, come abbiamo detto, quella del Bellocchio.
In che consiste tale ispirazione? È forse troppo semplice indicarla come un ‘desiderio fisiologico di finire’. […] Intanto, però, qualcuno sarebbe autorizzato a domandarmi: “E come mai può essere comico un film con un’ispirazione così spaventosa?”. E invece si può. Dopo tanti e tanti anni che una quantità di registi italiani insistono a girare film i cui protagonisti sono alienati, strani, mezzi matti (quante volte, dopo un film di Antonioni o Fellini, ho raccolto dalle labbra di uno qualunque del grosso pubblico, la seguente osservazione: “Insomma, si tratta un po’ – come dire? – di un caso di pazzia…”), ecco finalmente tutto un film dove tutti i personaggi sono matti. Tutti, compreso quello che sembra savio; ma matti da legare, proprio matti da manicomio. Una famiglia onesta, borghese, tradizionale, composta interamente da matti: da matti oggettivati concretamente, clinicamente. E la comicità nasce irresistibile dal fatto che ciascun membro della famiglia, pur avendo in qualche modo consapevolezza della propria pazzia, è talmente fiero della propria dignità borghese che non sospetta mai, neanche per un attimo, che sia necessario un ricovero in manicomio.
Mario Soldati, “Il Giorno”, 28 dicembre 1965