Feu Mathias Pascal

Marcel L'Herbier

Ass. R.: Alberto Cavalcanti; Sog.: dal romanzo Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello; Scen.: Marcel L’Herbier; F.: Jean Letort, Jimmy Berliet, Fédote Bourgassoff, Nicolas Roudakoff, Paul Guichard; Scgf.: Alberto Cavalcanti, Lazare Meerson; Mu.: J.E. Szyfer, M. Graells (non accreditato); Int: Ivan Mosjoukine (Mathias Pascal), Marcelle Pradot (Romilde), Loïs Moran (Adrienne Paléari), Pierre Batcheff (Scipion Papiano), Jean Hervé (Térence Papiano), Michel Simon (Jérôme Pomino), Isaure Douvan (Batta Malagna), Solange Sicard (Olive Mesmi), Jeanne Saint-Bonnet, Jeanne Pierson, Marthe Belot (Madame Pascal), Pauline Carton, Georges Térof (il giocatore della roulette innamorato del n. 12), Philippe Hériat (il viceassessore); Prod.: Cinégraphic-Films L’Herbier / Films Albatros; Pri. pro.: 7 agosto 1925. 35 mm. D.: 170’ a 18 f/s.

info_outline
T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Al contrario del soggetto di L’Inhumaine, quello del Feu Mathias Pascal (1925) possiede tutti i requisiti di nobiltà: si tratta nientemeno che di un romanzo di Pirandello, il primo testo di questo autore che sia stato adattato per lo schermo. In più, per incarnare Mathias L’Herbier ricorre all’eccellente attore russo, emigrato a Parigi, Ivan Mosjoukine. Ma ne consegue una coproduzione con la celebre società Albatros, diretta da Alexandre Kamenka, e bisogna constatare che è l’assai libero ‘stile Albatros’ (vedi il Brasier ardent dello stesso Mosjoukine, Le Lion des Mogols di Epstein, Kean di Volkoff) piuttosto che il miglior rigore di L’Herbier a predominare in Mathias: trucchi pittoreschi, angoli di riprese ‘spirituali’, sequenze di sogno su fondo nero, ecc. Il film è di grande virtuosismo, passando allegramente dal Kammerspiel rurale alla fantasia burlesca con un’incursione nella commedia di costume espressionista’; allo stesso tempo tutto, qui, contribuisce a creare questa unità nella diversità che mancava a L’Inhumaine: rimarchevole assegnazione dei ruoli, belle immagini, belle scenografie, storia ‘forte’. Eppure il film è retrogrado nella storia del cinema come nell’opera di L’Herbier: ci riconduce all’idea di una regia al servizio di un aneddoto: è Forfaiture [ovvero The Cheat, 1915, di Cecil B. DeMille, di cui L’Herbier realizzerà un remake nel 1937 ndc] riveduto e corretto dall’estetica dei Russi di Parigi: la doppia funzione del découpage, che L’Herbier ha già schizzato in tre dei suoi film, qui appare totalmente assente: ad ogni piano non si tratta che di trovare una nuova astuzia per mettere in evidenza il personaggio di Mathias-Mosjoukine, a ogni sequenza di trovare un nuovo stile che ‘rifletterà’ la prossima tappa della storia.

Noël Burch, Marcel L’Herbier, Cinéma d’aujourd’hui – Seghers, Paris 1973

All’interno di una partitura per un film muto ci sono spesso temi musicali che, seguendo l’evoluzione dei personaggi, si espandono (o muoiono) nel corso del film. Generalmente si tende a seguire e sviluppare questi passaggi in maniera tradizionale, ovvero per mezzo di variazioni melodiche o ritmiche. Per Il fu Mattia Pascal, tuttavia il lavoro è stato diverso. Lungo quasi tre ore, il film di L’Herbier rende conto di due esistenze che vanno e vengono, sempre in precario equilibrio tra stati d’animo (e generi) diversi, e ricco di sfumature narrative, visive ed espressive. Una complessità e una modernità che richiedevano un approccio musicale particolare. Il nucleo generativo qui è dato dalla voce del clavicembalo, che ho utilizzato come momento di riflessione interiore di Mattia Pascal, ma attraverso cui passano prima o poi tutti gli altri materiali musicali della partitura. Senza peraltro ripetere mai identicamente il tema, articolandolo piuttosto di volta in volta a seconda degli stati mentali di Mattia Pascal e delle sue reazioni agli eventi a cui va incontro. Per quanto da un punto di vista formale non ci sia nulla di italiano, la partitura non si sottrae alla suggestione territoriale, come dimostra bene la tarantella iniziale. Del resto se il riferimento a Pirandello non può che far pensare all’Italia, il nome di L’Herbier finisce inevitabilmente per dare al tutto una connotazione senza confini.

Timothy Brock

Copia proveniente da