DOCUMENTEUR
Scen.: Agnès Varda. F.: Nurith Aviv. Mo.: Sabine Mamou. Mu.: Georges Delerue. Su.: Jim Thornton. Int. Sabine Momou (Emily), Mathieu Demy (Martin). Prod.: Ciné-Tamaris 35mm. Col. D.: 63’.
Scheda Film
Questo film esplicita bene il progetto di cui ho inaugurato la pratica in La Pointe courte, L’Opéra-Mouffe e in Cléo: filmare i passanti come in un documentario ma includere queste immagini in una finzione per far sentire agli spettatori – tramite degli sconosciuti filmati – le emozioni dell’eroina. Qui, la gente, i pescatori, le donne che attendono e i vicini misteriosi raccontano ciò che questa donna e il suo giovane figlio non sanno dire.
Questo film è l’ombra di Mur Murs. È Los Angeles senza sole e senza meraviglie. Come se fosse dal nulla. È l’esilio. È un documentario? No, un documenteur (documentitore). […] In effetti, è un film in relazione con ciò che non si può vedere e che non si può dire.
Come se il film non fosse un vero film, avevo dei problemi ad immaginare degli attori veri. Vedevo un film astratto, con dei personaggi recitanti come in La Pointe courte. Oppure vedevo il film come un film amatoriale (home movie), fatto con gli amici così come sono, nei luoghi in cui vivono.
Agnès Varda, Varda par Agnès, Cahiers du cinéma, Paris 1994
Documenteur è l’ombra proiettata da Murs murs, il rovescio della medaglia, dalle immagini così cupe quanto il primo film è luminoso e colorato. Un film sulla solitudine e l’abbandono. Ancora i margini di Hollywood. La sceneggiatura non è quella della star stritolata e poi scartata dal sistema secondo le solite usanze. Quella sceneggiatura è un po’ convenzionale. È comunque una storia classica, una storia d’amore dopo la rottura di una coppia, e la questione posta da Documenteur è precisamente: come filmare l’amore dopo, in assenza del soggetto del desiderio, come filmare la mancanza. Varda esclude la retorica delle immagini del ricordo (flashback o evocazione dell’essere amato). Mostra la coppia madre-figlio unita da una convenzione di tacito silenzio sul soggetto del padre assente, e l’esilio dell’amore, attraverso una serie di volti di uomini strani e stranieri, anch’essi esiliati nella città. Tanti volti, tanti enigmi, afferma più o meno il commento.
[…] È un po’ la verità di Documenteur: questa ricerca è senza volto, non si può circoscrivere, non si può mostrare. Di contro si può mostrare il corpo erotico del desiderio, quello che Lacan chiama “l’Amur” (seminario “Encore”): “Ciò che appare in segni bizzarri sul corpo, sono quei caratteri sessuali che vengono dall’aldilà, non sono che delle tracce”. È quell’essere che Varda filma in una lunga inquadratura dove si espone il corpo nudo di un uomo e la voce del commento interroga: “Che si può dire del corpo di un uomo che si è amato? Niente”. Niente, in effetti, se non mostrar- lo nella sua insignificanza, perché il corpo del desiderio non dice nulla, solo le voci del desiderio sono udibili (quelle che Marguerite Duras fa udire in Navire Night).
Danièle Dubroux, Un auteur face à Hollywood, “Cahiers du cinéma”, n. 331, gennaio 1982
Restaurato nel 2012 da Ciné-Tamaris, Fondation Groupama Gan pour le Cinéma e Fondation Technicolor pour le Patrimoine du Cinéma
Il restauro, condotto nel 2012 da Ciné- Tamaris, Fondation Groupama Gan pour le Cinéma e Fondation Technicolor pour le Patrimoine du Cinéma, si è avviato in occasione delle riprese del primo lungometraggio di Mathieu Demy, Americano, e grazie alla volontà di quest’ultimo di inserire numerosi estratti di Documenteur di Agnès Varda, nel quale aveva recitato. Americano è uscito in sala nel novembre 2011. Il restauro è presentato in anteprima al Cinema Ritrovato 2012.