Do Bigha Zameen

Bimal Roy

T. it.: Due ettari di terra. T. int.: Two Acres of Land. Sog.: Salil Choudhury. Scen.: Hrishikesh Mukherjee. Dial.: Paul Mahendra. F.:  Kamal Bose. M.: Hrishikesh Mukherjee. Scgf.: Gonesh Basak. Mus.: Salil Choudhury. Canzoni: Shailendra. Int.: Balraj Sahni (Shambu Maheto), Nirupa Roy (Parvati Maheto), Ratan Kumar (Kanhaiya Maheto), Murad (Thakur Harnam Singh), Nana Palsikar (Dhangu Maheto), Nasir Hussain (conducente di risciò). Prod.: Bimal  Roy per Bimal Roy Productions
DCP. D.: 122′. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Inizialmente autore di film bengalesi, Bimal Roy portò l’umanesimo e le tematiche sociali della sua tradizione nel cinema hindi. La visione di Ladri di biciclette di De Sica gli ispirò Do Bigha Zameen, storia drammatica e scabra di un contadino che lotta strenuamente per salvare la propria terra dalle grinfie di uno strozzino. Il film, il regista e l’attore principale Balraj Sahni furono più volte premiati. Nel 1954 Do Bigha Zameen partecipò al Festival di Cannes, dove ricevette una menzione speciale.

La conquista della verosimiglianza
Quando il film di Bimal Roy Do Bigha Zameen uscì nelle sale, erano trascorsi meno di dieci anni dall’indipendenza dell’India. Il paese lo accolse con un silenzio attonito. Non vi furono fragorosi applausi, né l’esultanza che solitamente accompagna la notizia del successo commerciale di un film. Si riconosceva la nascita di un nuovo tipo di cinema. Un cinema popolare, verosimile.
Il film aveva colmato la distanza tra finzione e realtà. Certo, era a tratti melodrammatico. E certo, nell’intreccio c’era qualche coincidenza di troppo. Ma in tutto questo, da qualche parte, c’era una straordinaria onestà che non poteva essere ignorata. Do Bigha Zameen aveva toccato un nervo scoperto dell’India, che in quegli anni stava tentando di affrancarsi dal passato feudale per avanzare verso un futuro moderno, industriale. Il nervo scoperto era la terra. L’ottantacinque per cento della popolazione viveva in aree rurali e semi-rurali, ed era costituito perlopiù da piccoli contadini e da ‘senzaterra’ sfruttati dai grandi proprietari terrieri di stampo feudale. Anche nelle aree urbane gran parte degli abitanti era composta da lavoratori senza terra che erano fuggiti dalla schiavitù per cercare lavoro in città.
Era questa l’idea centrale di Do Bigha Zameen, storia di un piccolo agricoltore marginale che ha solo tre mesi di tempo per saldare un debito e conservare il suo piccolo pezzo di terra. Il film narra la battaglia di un uomo per salvare la dignità e l’onore della sua famiglia. Bimal Roy dosa sapientemente il crescendo di tensione: dapprima il contadino e suo figlio si trasferiscono nella città di Kolkata per guadagnare la cifra che potrà riscattare le loro vite, poi l’uomo si trasforma in un animale da tiro portando in giro la gente con il risciò, e all’avvicinarsi della scadenza il figlio si mette a fare il lustrascarpe e anche la moglie incinta inizia a lavorare. A questo punto il film si incentra sulla famiglia che si batte disperatamente per salvare la propria terra. E intanto Bimal Roy ci mostra il ventre molle della città, dove i poveri uniscono le loro forze per riuscire a sopravvivere ma anche per dare un senso alle proprie vite. Qui lo spettatore scopre un cameratismo che celebra la solidarietà e la compassione.
Ma Bimal Roy è interessato anche ad altro, e si vede. Per il finale aveva due possibilità: permettere ai personaggi di emergere trionfanti o indicare quello che sarà il destino del paese. Sceglie la seconda. Ecco perché il film appare ancora credibile.

Saeed Mirza