DIE HINTERTREPPE
Scen.: Carl Mayer. F.: Karl Hasselmann, Willy Hameister. Scgf.: Karl Görge, Paul Leni, Alfred Junge. Int.: Henny Porten (la domestica), Fritz Kortner (il postino), Wilhelm Dieterle (l’amante). Prod.: Henny Porten-Film GmbH. 35mm. L.: 1109 m. 18 f/s. Bn.
Scheda Film
Diventando produttrice di sé stessa nel 1921, la popolare star del cinema tedesco Henny Porten avviò un progetto ambizioso e ingaggiò tre collaboratori essenziali: Leopold Jessner, noto regista del teatro espressionista di Berlino, lo sceneggiatore Carl Mayer e lo scenografo Paul Leni. Come colleghi attori scelse Fritz Kortner, stella del Teatro nazionale di Berlino di Jessner, e il bel Wilhelm Dieterle dell’ensemble di Max Reinhardt.
Il risultato, Die Hintertreppe, fu un successo a livello artistico (ma un insuccesso al botteghino). Un recensore anonimo di “Das Tage-Buch” scrisse: “Jessner ha fatto per Henny Porten più di qualsiasi altro regista prima di lui. […] Tutta la routine è spazzata via, ogni movimento è vissuto e quindi vivo”. E Alfred Kerr, il temuto critico teatrale che non scriveva quasi mai di cinema, lodò il film definendolo “splendidamente sommesso”; Herbert Ihering lo definì “magistrale” e Kurt Pinthus “il film più umano mai visto al cinema”.
Come riuscì a funzionare così bene un assortimento di artisti dai profili così diversi? La critica coeva si divise: si trattava di un dramma naturalistico o espressionistico? Se lo sono poi chiesti anche gli storici del cinema. Le scenografie di Paul Leni – il seminterrato in cui vive il postino, la scala sul retro che conduce come ingresso della servitù alla cucina dell’appartamento borghese, e il cortile nel mezzo – rivelano un approccio naturalistico. Ma l’illuminazione, che accentua e dissolve la geometria dell’edificio, risveglia inquietudini espressioniste.
Lo stesso vale per l’incarnazione di Kortner del timido postino gobbo, che nella sua disperata infatuazione, di fronte alla concorrenza del corpulento fidanzato, ricorre a crudeli espedienti. Nella sua caratterizzazione c’è sempre un nocciolo di realtà, ma esasperato dalla recitazione rallentata e dai gesti espressivi stilizzati. La macchina da presa ci fa percepire questo mondo così come appare ai suoi abitanti, in tutta la sua disperazione. Tuttavia l’intensificazione stilistica crea una distanza che mette in discussione questa prospettiva.
Martin Girod
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