DER DEMÜTIGE UND DIE SÄNGERIN
R.: E. A. Dupont. In.: Lil Dagover, Eberhard Leithoff, Hans Mierendorff, Arnold Korff, Margarete Kupfer, Paul Bildt, Olga Limburg, Louis Ralph, Gertrud de Lalsky, Harry Halm, Martin Kettner, Hans Sternberg. 35mm. L.: 2590m. D.: 126’ a 18 f/s.
Scheda Film
“Ogni attore vive in una straordinaria gabbia fantastica costruita per lui; questa gabbia si chiama ‘ruolo’; egli è chiuso in questa gabbia e l’aspetto fantastico è che egli non ha neanche un centimetro quadrato di spazio in più o in meno: esempio di brillante economia registica. E tuttavia anche qui noi vediamo l’impianto dall’esterno verso l’interno, non dall’interno verso l’esterno; poiché in tutto il film ogni dettaglio è curato allo spasimo, non si può parlare che in termini elogiativi di ogni singolo interprete. In questo spazio immaginario predisposto nei minimi particolari è perfino possibile che Lil Dagover in taluni momenti abbia dei tratti alla Duse; dapprima, in modo caratteristico e piccante, solo esteriormente, da un punto di vista puramente fisiognomico (in alcune scene dell’ultimo tempo la si potrebbe letteralmente scambiare con la Duse di vent’anni prima); ma poi, in certi altri, con perfetta aderenza all’evento, secondo un registro tutto interiore. Chi avrebbe mai ritenuto possibile che questo strano e singolare maestro della fisiognomica, Dupont, riuscisse a dirigere e a ‘lavorare’ meglio l’interprete dietro la maschera di una relativa distanziazione rispetto a quella di una maggiore prossimità all’esperienza di vita dell’attore? Eppure è così. La Dagover, al culmine, come individuo, della sua più fiorente femminilità, recita nelle scene della fanciulla in una maniera più fanciullescamente ritrosa e virginale di quanto non dispieghi a fondo, nelle scene della piena femminilità, tutto il suo potenziale di donna fatta.
(Willy Haas, Der Demütige und die Sängerin, Film-Kurier Nr. 80, 3.4.1925, in Wolfgang Jacobsen [et al.] (Hg.),Willy Haas. Der Kritiker als Mitproduzent. Texte zum Film 1920-1933, 1991)
“Lil Dagover (Marie-Siegelinde Seubert, 1887-1980). Divenne immediatamente famosa nella parte di Jane, quella figurina diafana, avvolta in un lungo camicione bianco, rapita da Cesare, l’automa del diabolico dottor Caligari, trascinata per gli sghembi ed allucinati sentieri disegnati su enormi cartoni. In realtà, Lil Dagover aveva cominciato a fare del cinema già qualche anno prima: il suo volto esotico ben si prestava per quei film orientaleggianti tanto cari ai pubblici tedeschi. Lang l’aveva scelta per Harakiri (id.) dove aveva interpretato una trasognata Madama Butterfly; le aveva poi fatto indossare i panni della sacerdotessa del re Sole nel dittico Die Spinnen (I ragni), Conrad Veidt l’aveva voluta al suo fianco in Das Geheimnis von Bombay. È ancora Lang a farle interpretare nel 1921 Der müde Tod (Il signore delle tenebre), una prova di intensa drammaticità nella parte della donna che supplica la Morte, uno ieratico Bernhard Goetzke, di renderle la vita dell’innamorato. Piano piano la bellezza fine ed eterea della Dogover si modifica: la spiritata preda del mostro di Caligari, l’evanescene silhouette di film dalle vicende arcane ambientate in epoche e posti lontani, mette su carne, il volto si distende, le braccia diventano tornite, la sua persona acquista una opulenza armoniosa e riposante che, assieme alla naturale eleganza del portamento e l’accuratezza costante nell’abbigliamento, la trasformano in una ‘Salondame’, una signora dello schermo. E adeguati alla sua nuova allure sono i ruoli che le vengono offerti sia in patria – Der geheime Kurier (Il rosso e il nero), Die Brüder Schellenberg (Il supplizio di Tantalo) – che in Francia – Montecristo (id.), Tourbillon de Paris (Il turbine di Parigi) – o in Svezia – Hans engelska fru, Bara en danserka. Agli inizi del sonoro andrà anche in America per un film che non avrà fortuna, The Woman from Monte Carlo (L’avventuriera di Montecarlo). Negli anni a venire, Lil Dagover rimarrà attiva per lunghissimo tempo, adeguando naturalmente i suoi ruoli all’avanzare dell’età, ma non verrà mai meno alla sua presenza raffinata, soffusa da una languida malinconia. La sua galleria di donne di mondo, di sovrane o di enigmatiche avventuriere copre non meno di cento ritratti dipinti con aggraziate tonalità: Ich war die Dame come ha giustamente intitolato le sue memorie”. (Vittorio Martinelli)
“Lil Dagover (Marie-Siegelinde Seubert, 1887-1980).