DER BRENNENDE ACKER
Sc.: Willy Haas, Thea von Harbou, Arthur Rosen. F.: Fritz Arno Wagner, Karl Freund. Scgf. e costumi: Rochus Gliese. In.: werner Krauss (il vecchio Rog), Eugen Klöpfer (Peter Rog), Wladimir Gaidarow (Johannes Rog), Eduard von Winterstein (Conte Rudemburg), Lya de Putti (Gerda), Stella Arbenina (Helda), Alfred Abel (Ludwig von Lellewell), Grete Diercks (Maria), Else Wagner (Magda). P.: Goron-Deulig-Exclusiv-Film.
Lunghezza al visto di censura del 25.2.1922: 2.645m. Lunghezza della versione restaurata: 2325m. 35mm.
Scheda Film
(…) Avete mai visto Der brennende Acker di Murnau in bianco e nero? Bene, dimenticatelo! Il pozzo di petrolio nel campo del diavolo brucia, nel film di Murnau, con una tonalità rosso scura, non in bianco e nero. Sotto il titolo conosciuto vi aspetta in futuro un altro film.
Dopo Nosferatu, un altro film di Murnau è ora visibile nella sua originale versione a colori. (…)
Ancora ai tempi della nuova edizione della monografia su Murnau, (Francoforte 1979), Lotte Einser conosceva unicamente gli ultimi tre rulli (di 843 metri complessivamente) di Der brennende Acker. Si trattava della copia in bianco e nero conservata dalla Cineteca della Germania Est. “Purtroppo la proiezione non fornisce più un’immagine adeguata dell’originale bellezza del film” scrive la Eisner. Una copia del film, quasi completa, fu identificata solo nel 1978 da Vittorio Martinelli, profondo conoscitore della storia del cinema tedesco, presso la Cineteca Italiana di Milano. Si trattava di una versione distribuita in Italia con il titolo Il campo del diavolo. I titoli di testa e le didascalie in italiano furono certamente realizzati in Italia; ne sono prova, tra l’altro, gli evidenti errori di trascrizione dal tedesco. Le immagini, invece, furono sviluppate in Germania e dunque l’autenticità della colorazione può considerarsi certa.
La copia apparteneva ad una piccola collezione di un religioso italiano che lavorava in istituti per malati di mente ed intratteneva i malati con la proiezione di film.
Dobbiamo ad Enno Patalas del Münchener Filmmuseum, se una prima copia in bianco e nero, ricavata da un negativo realizzato a Milano, è giunta in Germania. Le didascalie italiane sono state sostituite a Monaco con nuovi titoli tedeschi, tratti dalla sceneggiatura in possesso della nipote di Murnau. Dall’inizio degli anni ’80 era pertanto nuovamente visibile in Germania un film “perduto”. Tuttavia a Milano esisteva ancora un originale a colori. Grazie alla collaborazione della Cineteca Italiana, il Bundesarchiv ha, infine, ricevuto il materiale originale su cui ha potuto iniziare il lavoro di restauro.
È stato così tratto un internegativo a colori con stampa sotto liquido con la stampatrice ottica Debrie TAI. Fortunatamente è stato ritrovato il visto di censura originale del 25 febbraio 1922 con il testo di tutte le didascalie. Su questa base il Münchener Filmmuseum si è occupato di ricostruire le didascalie e gli inserti (le pagine di giornale, le lettere, il testamento ecc.) con la collaborazione del laboratorio Pfenninger. In mancanza di un modello per l’esatta veste grafica delle didascalie, ci si è ispirati ad altri film tedeschi dell’inizio degli anni venti, utilizzando un verde scuro come colore delle didascalie e un giallo chiaro come colore degli inserti.
Se la copia milanese aveva una lunghezza, comprese le didascalie italiane, pari a 2346 metri, ora il negativo a colori misura, dopo l’inserimento delle nuove didascalie, 2325 metri. È stata, inoltre, inserita un’importante sequenza mancante proveniente da una copia safety del Gosfilmofond di Mosca.
Rispetto all’originale metraggio della copia prevista dalla censura (2645 mt) mancavano quindi 320 mt. Nessuno può dire con certezza se la lunghezza attuale delle immagini sia effettivamente più corta che della versione passata in censura.
Nel settembre 1993 il Budesarchiv-Filarchiv ha terminato il restauro presso il laboratorio ABC & Taunus di Wiesbaden, ottenendo una copia definitiva che si avvicina enormemente ai colori originali della copia su supporto nitrato.
La lunga odissea di una ricostruzione è arrivata alla fine. (Helmut Regel, “Cinegrafie”, n.6, novembre 1993)