ČAPAEV
Sog.: dal romanzo omonimo di Dmitrij Furmanov e da testi di Dmitrij Furmanov, Anna Furmanova e Trofimov. Scen.: Fratelli Vasil’ev. F.: Aleksandr Sigaev, Aleksandr Ksenofontov. Scgf.: Isaak Machlis. Mus.: Gavriil Popov. Int.: Boris Babočkin (Čapaev), Boris Blinov (Furmanov), Varvara Mjasnikova (Anna), Leonid Kmit (Petka), Illarion Pevcov (colonnello Borozdin), Stepan Škurat (il cosacco Potapov), Vjačeslav Volkov (Elan), Nikolaj Simonov (Žicharev), Boris Čirkov (un contadino), Konstantin Nazarenko (lo spilungone). Prod.: Lenfilm. 35mm. D.: 95’. Bn.
Scheda Film
Čapaev è forse il film sovietico di maggior successo. Non si può nemmeno dire che sia stato ridistribuito perché per vari decenni non ha mai lasciato le sale cinematografiche, e quarant’anni dopo la sua uscita poteva essere visto almeno una volta al mese nei cinema di tutte le principali città sovietiche. Oggi è considerato un classico, ma perfino negli anni Sessanta e Settanta i bambini lo consideravano un blockbuster appena uscito.
Non fu solo un successo al botteghino, ma fu anche elogiato dalle autorità, da una in particolare: nel corso di un solo anno Stalin guardò Čapaev trentotto volte. Per generazioni di registi Čapaev divenne il modello, lo standard. Per i suoi autori fu al contempo motivo d’orgoglio e maledizione. “Abbiamo cresciuto un elefante”, si lamentavano i registi, “e adesso dobbiamo nutrirlo per tutta la vita”.
Nessuno si aspettava un capolavoro dai Fratelli Vasil’ev (i quali in realtà non erano fratelli ma dato che portavano lo stesso cognome – e pure molto comune – escogitarono questo accattivante pseudonimo). Montatori brillanti (leggendario il loro rimontaggio di film ‘borghesi’ europei e americani per renderli politicamente accettabili per l’Unione Sovietica), come registi erano considerati niente più che abili epigoni. E l’incarico di girare l’ennesimo film patetico su un eroe della Guerra civile la diceva lunga: tutti i maggiori registi si dedicavano ai temi caldi della collettivizzazione e dell’industrializzazione.
Il trucco stava nel genere. Che poteva essere definito ‘commedia eroica’. Boris Babočkin, mordace e spiritoso caratterista (e, andrebbe aggiunto, uomo che disprezzava ardentemente il potere sovietico), avrebbe dovuto essere l’ultima scelta per interpretare un eroico comandante rosso. Ma furono proprio il suo temperamento imprevedibile e la sua suscettibilità che, subito dopo l’uscita del film, fecero di Babočkin l’attore numero uno dell’Unione Sovietica con grande disappunto dei suoi più anziani ed eminenti colleghi.
A questa soluzione anticonvenzionale ne seguirono altre. L’insegnante di Babočkin, il grande attore teatrale Illarion Pevcov, fu scelto per interpretare il suo antagonista, e mai un ufficiale dell’Armata Bianca è stato così affascinante e intelligente in un film sovietico. La ragazza (non la ragazza di Čapaev ma quella del suo attendente) era interpretata da un’attrice del muto, Varvara Mjasnikova, che mostrava tutti i suoi trentaquattro anni ed era ben lontana dai canoni della bellezza cinematografica, ma fu precisamente questo a farla risaltare. E a trasformarla in una diva, insieme a praticamente tutti gli altri membri del cast.
Mentre lavoravano alla sceneggiatura i registi tracciarono molti ‘grafici delle reazioni emotive’ tentando di prevedere la risposta del pubblico a tutti gli sviluppi della trama. I grafici furono a dir poco derisi dai colleghi più navigati e rischiarono di diventare una barzelletta. Ma la reazione del pubblico dimostrò che erano corretti fin nei minimi particolari.