BRING ME THE HEAD OF ALFREDO GARCIA
Sog.: Frank Kowalski, Sam Peckinpah. Scen.: Gordon Dawson, Sam Peckinpah. F.: Alex Phillips, Jr. M.: Robbe Roberts, Sergio Ortega, Dennis E. Dolan. Scgf.: Agustín Ituarte. Mus.: Jerry Fielding. Int.: Warren Oates (Bennie), Isela Vega (Elita), Robert Webber (Sappensly), Gig Young (Quill), Helmut Dantine (Max), Emilio Fernández (El Jefe), Kris Kristofferson (Paco), Chano Urueta (il barista monco). Prod.: Martin Baum per Optimus Productions, Estudios Churubusco Azteca S.A. DCP. D.: 112’. Col.
Scheda Film
Noir dalla cadenza aspra e ossessionata, girato con sobbalzi, scatti e sgranature che irritarono la critica dell’epoca che lo definì sciatto e imbarazzante, Bring Me the Head of Alfredo Garcia non solo precorreva i tempi (i suoi ‘difetti’ stilistici, la sua rabbiosa, antiromantica sgradevolezza, sono rimbalzati direttamente nel cinema di oggi, in certe sequenze di Quentin Tarantino e, esplicitamente, nelle Tre sepolture di Tommy Lee Jones), ma soprattutto chiudeva, come un canto di morte, la magnifica sequenza dei grandi film di Peckinpah (nessuno dei quattro film successivi eguaglierà il corpo dell’opera precedente). È come se in Garcia, western moderno ‘di confine’, immerso in un Messico ugualmente brutale nella tradizione come nella modernità, fosse confluito tutto il carico di disillusione e perdita dei film precedenti, come se in Bennie, perdente contemporaneo, si fossero concretizzate tutte le nevrosi di ‘eroi’ più antichi, ormai inesprimibili, forse incomprensibili, capaci solo di esplodere in follia. […] Elita, con i suoi legami con Bennie e con Garcia, con la sua femminilità matura ed enormemente consapevole […] è il vero elemento catalizzatore del film, il personaggio nel quale convergono le pulsioni di amore e morte di un immaginario ormai votato all’autodistruzione. Per questo Bring Me the Head of Alfredo Garcia è, sotto le spoglie del noir, un mélo, la storia di un amore già adulto finito in predestinata tragedia nella rincorsa a una vita migliore (un Sogno) che non esiste. Elita accompagna Bennie verso il disastro, più consapevole di lui, e più accorata, pessimista e rassegnata. E Peckinpah tenta a sua volta di accompagnarli con le immagini attraverso un idillio che ricordi quello di Cable e Hildy, dissolvenze e musica e picnic all’aperto; ma le immagini si ribellano, la luce è ghiacciata, lo sguardo di Isela Vega è doloroso, i gesti di Warren Oates inconsulti. Anche i protagonisti delle storie d’amore sanno, oggi, di aver fatto il loro tempo, o meglio di non avere più nemmeno le tre settimane che una prostituta e un fallito potevano concedersi nel deserto.
Emanuela Martini, Sister of Mercy, in Sam Peckinpah: il ritmo della violenza, a cura di Franco La Polla, Cineteca di Bologna-Le Mani, Bologna-Recco 2006
Per concessione di Metro Goldwyn Mayer e Park Circus. Restaurato in 4K da Arrow Films presso il laboratorio Deluxe Restoration di Londra, a partire dal negativo camera originale e da un interpositivo 35mm. Tutti i materiali utilizzati per il restauro sono stati messi a disposizione da MGM.