BOL’ŠAJA SEM’JA

Iosif Hejfic

Sog.: dal romanzo Žurbiny [Gli Žurbin] di Vsevolod Kočetov. Scen.: Vsevolod Kočetov, Sokrat Kara. F.: Sergej Ivanov. Scgf.: Viktor Volin, Viktor Savostin. Mus.: Venedikt Puškov. Int.: Sergej Luk’janov (Matvej Žurbin), Boris Andreev (Il’ja Matveevič), Vera Kuznecova (Agaf’ja Karpovna), Aleksej Batalov (Aleksej), Sergej Kurilov (Viktor), Vadim Medvedev (Anton), Boris Bitjukov (Kostja), Ija Arepina (Tonja), Klara Lučko (Lida). Prod.: Lenfil’m · 35mm. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Bol’šaja sem’ja fu tra i primi film sovietici realizzati dopo la morte di Stalin a suscitare un po’ di scalpore all’estero. Qualcosa in effetti era cambiato, anche se il film parlava di cicli e di continuità: nel finale, un bisnonno e suo nipote – entrambi chiamati Matvej Žurbin – guardano allontanarsi una nave che porta il loro nome. Anche il soggetto può sembrare un ordinario esempio di realismo socialista: scene di vita di una dinastia proletaria nell’arco di quattro generazioni, a rappresentare la gigantesca famiglia chiamata Unione Sovietica. Ma grazie ai tocchi sottili dell’impareggiabile Iosif Hejfic il film sviluppa una vivacità raramente vista sugli schermi sovietici – e non solo sovietici – dell’epoca. Il colore fa la sua parte: Bol’šaja sem’ja risplende e scintilla; i toni più scuri temperano la disperazione con ombre eleganti, i toni più accesi illuminano il mondo quando la gente è felice. E poi ci sono le tante sfumature, come sempre decisive: nel mostrarci l’orgoglio di un lavoratore, il modo in cui una coppia viene a patti con le proprie imperfezioni, la reazione di un burocrate castigato da un esempio vivente di virtù proletaria. Il tutto è ancor più interessante se guardiamo al romanzo di Vsevolod Kočetov dal quale è tratto Bol’šaja sem’ja, Žurbiny, uscito nel 1952 e tradotto in più lingue. Kočetov era un personaggio singolare anche per gli standard sovietici: sostenitore della linea dura, considerato reazionario perfino da molti conservatori, artigiano della parola i cui romanzi aspiravano a incarnare il socialismo realista nella sua forma più esplicita e ligia, come si addice a un funzionario. Eppure, rileggendolo, Žurbiny si rivela sorprendentemente agile e a tratti schiettamente elegante, l’opera di qualcuno che intuisce qualcosa. Hejfic, si è tentati di dire, parte proprio da queste idiosincrasie della prosa di Kočetov. Sia Žurbiny, sia Bol’šaja sem’ja dimostrano che nella prima metà degli anni Cinquanta tutto era più complesso di quel che pensiamo…

Olaf Möller

Copia proveniente da

per concessione di Gosfilmofond