Badlands
Scen.: Terrence Malick. F.: Tak Fujimoto, Steven Larner, Brian Probyn. M.: Robert Estrin. Scgf.: Jack Fisk. Mus.: George Tipton. Su.: Doug Crichton, Maury Harris, Sam Shaw. Int.: Martin Sheen (Kit), Sissy Spacek (Holly), Warren Oates (il padre di Holly), Ramon Bieri (Cato), Alan Vint (il vice-sceriffo), Gary Littlejohn (lo sceriffo), John Carter (l’uomo ricco). Prod.: Terrence Malick per Pressman-Williams, Warner Bros, Jill Jakes Production, Badlands Company. Pri. pro.: 13 ottobre 1973. DCP. D.: 94′. Model Shop Col.
Scheda Film
Non sarebbe esagerato definire la prima metà di Badlands una rivelazione: uno dei migliori e più colti esempi di cinema narrato americano dai tempi di Welles e Polonsky. Le composizioni, gli attori e i fili narrativi si intrecciano e si incastrano con irriducibile economia e infallibile precisione, portandoci con sé senza darci il tempo di riprendere fiato. Probabilmente non è un caso se una delle prime inquadrature di Kit nel suo giro di raccolta di rifiuti richiama la strada di quartiere che ci introduceva nella realtà sociale di Gioventù bruciata: il maledettissimo corteggiato da Kit e descritto in modo distaccato da Holly evoca immediatamente gli anni Cinquanta di Nicholas Ray e soprattutto certe opere di Godard influenzate da Ray come Pierrot le fou e Bande à part, anch’esse filtrate dalla voce fuori campo. L’occhio di Terrence Malick, il talento narrativo e la rappresentazione di una violenza indifferente sono apertamente godardiani, ma si radicano in un contesto più facilmente identificabile con Ray. Inconfondibilmente malickiani sono invece la narrazione e il dialogo, che come la violenza del film rimane laconico, circoscritto, distaccato e gelidamente reale. Meno costante, purtroppo, è la sensazione di scoperta che illumina la prima parte del film: più la coppia procede nei suoi vagabondaggi, più familiare e risaputa sembra diventare la loro storia, aggrappata a osservazioni sociologiche che risultavano interessanti in Gun Crazy, Gangster Story, I killers della luna di miele, Bersagli e via dicendo, ma che nel 1974 sfiorano pericolosamente la banalità. I richiami stilistici, invece, appaiono in maniera troppo varia e repentina per rientrare in schemi prevedibili. Holly che occupa un letto con un cane enorme; la delusione della sua prima esperienza sessuale e Kit che raccoglie una pietra per commemorare l’evento (sostituendola con una più piccola quando si accorge che è troppo pesante); […] Kit che legge il “National Geographic” e le riflessioni panteistiche di Holly; i poliziotti e la gente spaventata intravisti attraverso quelli che sembrano spezzoni color seppia di cinegiornale: sono tutte immagini e idee troppo straordinarie e troppo nettamente separate dai loro contesti immediati per rientrare nelle tradizionali aspettative di genere.
Jonathan Rosenbaum, “Monthly Film Bulletin”, n. 491, novembre 1974