AU BONHEUR DES DAMES
35mm. L.: 2343m. D.: 86’ a 24 f/s. R.: Julien Duvivier. S.: dal romanzo di Emile Zola. F.: Armand Thirard e René Guychard. In.: Dita Parlo, Pierre de Guingand, Germaine Rouer, Armand Bour, Ginette Maddie, Nadia Sibirskaia, Adolphe Cande, Albert Bras, Fabien Haziza, Simone Bourday, Fernand Mailly, René Donnio. P.: Film d’Art (Vandal e Delac).
Scheda Film
“La musica di Au Bonheur des Dames illustra il passaggio dal muto al sonoro. Appartiene già agli anni Trenta. Charleston, ragtime, “Chansonnettes Françaises” sono tutti unificati: il ritmo di una città in movimento costante: Parigi! Per questo film sonoro nelle immagini, ho scelto di scrivere una partitura vivace, spruzzata con un illustrativo senso dell’ironia”. (Gabriel Thibaudeau)
Julien Duvivier non è un purista, non ha mai esitato quando si trattava di mescolare elementi diversi all’interno di uno stesso film. Au bonheur des dames inizia con delle magnifiche inquadrature di Dita Parlo che arriva a Parigi (la sua immagine si sovrappone ad immagini della stazione brulicante di folla), poi nel quartiere del Vieil Elbeuf (carrellata su lei che cammina sui marciapiedi, si blocca ad un incrocio e resta a osservare l’agitazione della grande città con quel volto da giovane provinciale isolato dalla cinepresa). Fino alla sequenza della visita all’Isle-Adam, il film è stato girato in studio. Mentre il negozio Le Vieil Elbeuf, la strada che lo separa dal grande magazzino e la facciata del magazzino stesso sono costruiti in studio, l’interno del Au bonheur des dames è stato girato alle Galeries Lafayette. Julien Duvivier passa senza problemi da un luogo all’altro […], ebbro di rabbia dopo la morte della figlia e la pressione degli ufficiali giudiziari, il vecchio proprietario del Vieil Elbeuf prende la pistola, attraversa la strada (carrello indietro a precederlo, in studio) ed entra nel grande magazzino (inquadratura alle Galeries Lafayette). In ambedue le visite c’è molto documentario all’interno della finzione: le attività dei clienti e commessi. Nella scena finale tutto funziona sulla velocità, la tensione; il découpage frammenta l’animazione del negozio come in una serie di inquadrature prese dal vero, e quando il vecchio armato, sulle scale, provoca un pigia pigia generale, allora la finzione prende il sopravvento, con una successione di inquadrature-dettagli, totali, dall’alto e dal basso- molto ben montate. […] Nell’episodio della festa all’Isle-Adam, una festa dove impiegati e padroni si mescolano solo in apparenza, la sequenza è montata molto dinamicamente, alternando campi lunghi e piani ravvicinati sui diversi gruppi di ballerini e tuffatori. Per la qualità fotografica sembra un documentario, ma la disposizione dei personaggi, il montaggio, la ricerca dell’effetto in certe inquadrature tradiscono un’accurata regia.
(Hubert Niogret, in Aldo Tassone, Julien Duvivier, Il castoro, France Cinéma, Firenze, 1994)