Cinefilia Ritrovata, ‘I racconti della luna pallida d’agosto’
Rashōmon, I sette samurai, Viaggio a Tokyo… non sono poi molti i capolavori del cinema giapponese amati dai cinefili di tutto il mondo al pari di Ugetsu monogatari (I racconti della luna pallida d’agosto, 1953), principalmente ispirato a due dei Racconti di pioggia e di luna di Akinari Ueda, scrittore vissuto nel diciottesimo secolo, e unica incursione di Kenji Mizoguchi nei territori del fantastico. Il film, una delle pellicole più note del regista insieme a Vita di O-Haru, conta tra i suoi più illustri estimatori Martin Scorsese, il quale ha seguito personalmente il restauro del film in 4K proiettato nella presente edizione del Festival del Cinema Ritrovato. La lavorazione si è avvalsa inoltre della consulenza di Masahiro Miyajima, storico collaboratore del direttore della fotografia di Ugetsu, Kazuo Miyagawa, responsabile anche delle splendide immagini di film come il già citato Rashōmon di Akira Kurosawa, Conflagrazione di Kon Ichikawa e Erbe Fluttuanti di Yasujirō Ozu.
La copia presentata durante il festival, preceduta da un messaggio in cui lo stesso Scorsese ricorda quando per la prima volta fu rapito dalla forza delle immagini del film, benché visto doppiato e su piccolo schermo, ci restituisce in tutto il suo splendore la storia del vasaio Genjurō e del cognato Tobei, entrambi animati da una diversa ambizione (uno anela ad arricchirsi con le proprie ceramiche approfittando della guerra, l’altro a essere celebrato come samurai) che causerà la disgrazia delle rispettive mogli nel terrificante contesto di un mondo scosso da bande di delinquenti, pirati nascosti tra le nebbie, guerre e fantasmi. È in particolare la vicenda del primo dei due, l’artigiano che si scopre artista dopo essere entrato a contatto, non senza pagare un caro prezzo, con la dimensione degli spiriti, a donarci i momenti più memorabili del film. Essi si avvalgono di un uso del piano sequenza e della profondità di campo, accompagnato da raffinati giochi di luci e ombre, volto a fare emergere con sorprendente e paradossale naturalezza il sovrannaturale in seno al reale, così da suggerire una relazione di contiguità tra i due mondi che, nel caso dell’incontro con lo spettro di Wakasa, è motivo di orrore e inquietudine, mentre nel finale, quando Genjurō ritrova la moglie defunta, è ragione di consolazione e fonte di sostegno spirituale. Commovente parabola sulla responsabilità delle proprie azioni, ma anche racconto di formazione, riflessione sulla natura dell’arte e rappresentazione delle forze invisibili che si muovono dentro e intorno all’uomo, Ugetsu non ha ancora smarrito l’incanto e la straordinaria potenza delle sue immagini.
Giacomo Calorio