Una donna allo specchio

Realizzato durante l’estate del 1961, Cléo è il secondo lungometraggio di Agnès Varda, cineasta autodidatta approdata al cinema dopo essersi formata ed aver lavorato come fotografa.

Seppur Varda abbia sempre preferito seguire un proprio percorso di ricerca indipendente e autonomo (e in questo risiede gran parte della forza del suo cinema), si parla spesso di lei come della madre della corrente artistica Nouvelle Vague e, in effetti, in Cléo si riscontrano alcuni dei principi cardine del movimento: la figura del/la regista come autore/trice del film, la scelta di girare fuori dagli studios e quindi l’utilizzo di décor naturali, la predilezione per interpreti nuovi o debuttanti vicini ai personaggi che sono chiamati ad interpretare.

Cléo dalle 5 alle 7 racconta la storia di una giovane e cantante che attende con angoscia i risultati di un’analisi medica che le rivelerà la presenza o l’assenza di un cancro. Relegata al ruolo di “bambolina” viziata da chi la circonda, Cléo prende ad un tratto coscienza della vanità della sua esistenza e scendendo di nuovo in strada apre gli occhi su un mondo che non aveva mai davvero osservato. Troverà solo allora nel soldato Antoine qualcuno in grado di aiutarla e di comprenderla.

Varda divide nettamente in due parti la propria opera che si apre con un prologo (unica sequenza a colori) in cui l’intero susseguirsi degli eventi che verranno viene annunciato tramite dei tarocchi.

La prima parte del film vede protagonista una Cléo frivola e capricciosa asservita agli sguardi desiderosi degli uomini che incontra.
L’interpretazione della canzone Sans toi all’interno dello studio della cantante funge da spartiacque, da choc emotivo a seguito del quale Cléo si cambia d’abito, da chiaro a nero, esce nuovamente in strada e per la prima volta agisce da soggetto e non più da oggetto dello sguardo altrui.

Il percorso di Cléo attraverso le strade di Parigi è scandito da una serie di pause durante le quali la cantante cerca la propria immagine riflessa. Varda mette in scena un gioco di specchi attraverso i quali lo spettatore entra in contatto con la protagonista, ne coglie i mutamenti interiori e i tormenti che l’affliggono.

Fotografa prima che regista, Agnès Varda fa della fotografia uno strumento privilegiato della messa in scena: convinta della potenza e del valore tragico del bianco, la cineasta sceglie di inondare il personaggio di Cléo di un bianco quasi spettrale, mentre, di contro, ricerca una luce il più possibile naturale per la resa degli ambienti in virtù di un approccio che vuole essere anche documentaristico.
pP
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