A Star Is Born

William A. Wellman

Sog.: dal romanzo omonimo di Walter Van Tilburg Clark. Scen.: Lamar Trotti. F.: Arthur C. Miller. M.: Allen McNeil. Scgf.: James Basevi, Richard Day. Mus.: Cyril J. Mockridge. Int.: Henry Fonda (Gil Carter), Dana Andrews (Donald Martin), Henry ‘Harry’ Morgan (Art Croft), Anthony Quinn (Francisco Morez), Harry Davenport (Arthur Davies), Francis Ford (Alva ‘Dad’ Hardwick), Jane Darwell (Jenny ‘Ma’ Grier), William Eythe (Gerald Tetley), Frank Conroy (maggiore Tetley). Prod.: Lamar Trotti per Twentieth Century-Fox Film Corp.
35mm. 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Con questo melodramma del 1937 Wellman dice la sua su Hollywood narrando l’ascesa di una donna e il declino di un uomo. Il risultato non è patinato come il remake di Cukor del 1954, anche perché trae la propria forza dalle umili origini della protagonista e resta costantemente fedele a questo dato nonostante il rapido mutare di scenari e classi sociali. Pur cambiando il proprio nome in Vicki Lester e sottoponendosi a una grot- tesca trasformazione fisica in chiave hollywoodiana, l’Esther Blodgett interpretata da Janet Gaynor non si libera mai davvero delle proprie radici. Wellman, come spesso fa con le sue attrici (loro malgrado), vuole che il viso della Gaynor sia truccato pochissimo, tranne che in una manciata di scene satiriche, per far trasparire la sua semplicità espressiva da attrice del muto. Più che sui personaggi e sugli interpreti, la bellezza di A Star in Born riposa sul precoce uso del colore, che produce un effetto simile a quello del primo cinema sonoro – vedi Chinatown Nights (1929) dello stesso Wellmane porta con sé una crudezza quasi sgraziata, con continui scoppi di colore grezzo circondati da un’oscurità avvolgente. Dal punto di vista della sensibilità femminista, quando Vicki Lester si presenta infine con il nome del marito il film tocca un tasto dolente, perché è chiaro che questo non è un film che preveda un rovesciamento dei ruoli di genere. Questo è un woman’s picture – e anche se potrete ritrovarvi il viso umido di pianto mentre scorrono i titoli di coda, è in realtà un woman’s picture nel senso meno strappalacrime del termine. Ma soprattutto, circostanza significativa per un film che indaga i meccanismi di Hollywood, A Star is Born segna l’inizio della collaborazione con George Chandler. A Chandler Wellman affiderà piccole parti in altri ventuno film, e l’attore diventerà uno strumento chiave della sua prassi registica: “Avevo varie tecniche per prender tempo e radunare le mie cosiddette energie creatrici” dirà Wellman. “George Chandler era la tecnica numero uno. […] Se era in una scena che mi stava dando problemi, quello trovava sempre il modo di mandarla direttamente in vacca: dimenticava le battute, starnutiva, e mica una o due volte, aveva vere e proprie crisi di starnuti, oppure si metteva a chiacchierare mentre parlavo. Allora perdevo veramente le staffe, e apriti cielo. Dopo aver mandato a quel paese George e tutti i suoi parenti e antenati, interrompevo le riprese per dieci minuti, mi precipitavo nel miocamerino, sbattevo la porta e poi mi calmavo e trovavo sempre una soluzione, come per magia”.

Gina Telaroli

 

 

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