MACARIO

Roberto Gavaldón

og.: dal racconto omonimo (1950) di B. Traven. Scen.:Emilio Carballido, Roberto Gavaldón. F.: Gabriel Figueroa. M.: Gloria Schoemann. Scgf.: Manuel Fontanals. Mus.: Raúl Lavista. Int.: Ignacio López Tarso (Macario), Pina Pellicer (moglie di Macario), Enrique Lucero (la Morte), José Gálvez (il Diavolo), José Luis Jiménez (Dios), Mario Alberto Rodríguez (Don Ramiro), Consuelo Frank (Virreina). Prod.: Armando Orive Alba per Clasa Films Mundiales. DCP. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Alla metà degli anni Cinquanta Gavaldón iniziò a collaborare con vari autori e nuove star, allontanandosi dal noir urbano per abbracciare uno stile improntato al realismo magico e una protesta sociale ancora più feroce. Realizzò una serie di adattamenti dei racconti di B. Traven, il misterioso autore conosciuto soprattutto per aver scritto il romanzo da cui fu tratto Il tesoro della Sierra Madre. […] Macario, tratto da un racconto di Traven, fu il primo film messicano a essere candidato all’Oscar e rappresentò il Messico al festival di Cannes nel 1960. A questo punto della sua carriera Gavaldón aveva iniziato a collaborare con il grande direttore della fotografia Gabriel Figueroa, che Diego Rivera annoverava tra i grandi muralisti. Insieme crearono una visione cupa e non sentimentale della vita contadina che lasciava tuttavia spazio al poetico e al fantastico.
La morte e i suoi riti sono un tema costante in Gavaldón, dai funerali in Vita rubata (La otra) e Rosauro Castro agli omicidi e ai suicidi che costellano i suoi film, e sono spesso giustapposti a baldorie carnevalesche. Macario va infine all’origine di questo motivo conduttore, raffigurando le celebrazioni del Giorno dei morti che riempiono le strade messicane di chiassosi scheletri danzanti e teschi di zucchero decorati. Il film è un’inquietante fiaba popolare cosparsa di taglienti osservazioni sull’ineguaglianza. “Sono pretenziosi anche con i loro morti” dice una donna povera a proposito di una famiglia ricca: lei ha una famiglia numerosa che patisce la fame, mentre i ricchi allestiscono un ricco banchetto come offerta per i loro antenati. Il marito della donna, il boscaiolo Macario, è così stufo di sacrificare le sue misere porzioni di fagioli e tortillas ai famelici figlioletti che decide di iniziare uno sciopero della fame, annunciando che non mangerà mai più finché non potrà divorare, da solo, un intero tacchino arrosto. La moglie, lavandaia, ruba un tacchino ai propri clienti per esaudire il suo desiderio, ma quando Macario si accinge a godersi il solitario banchetto nella foresta gli appaiono tre personaggi – il Diavolo, Dio e la Morte – ciascuno dei quali implora un pezzetto di arrosto. […]
La semplicità degli effetti del film ne accresce la forza emotiva, e culmina in uno dei momenti più riusciti di Gavaldón e Figueroa: una scena ambientata in un vasta grotta tappezzata di centinaia di candele di cera gocciolanti. Sembra una città di notte vista da un aereo, o una galassia di stelle cadute che brillano e tremolano.

Imogen Sara Smith, Heat of the Night, “Film Comment”, vol. 55, n. 3, maggio-giugno 2019

Copia proveniente da

Restaurato da The Film Foundation’s World Cinema Project e Fundación Televisa in collaborazione con Filmoteca UNAM e in associazione con Televisa S. de R.L. de C.V., presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata. Con il sostegno di Hollywood Foreign Press Association. Un ringraziamento speciale a Guillermo del Toro