BELLISSIMA
Sog.: Cesare Zavattini. Scen.: Suso Cecchi d’Amico, Francesco Rosi, Luchino Visconti. F.: Piero Portalupi Paul Ronald. M.: Mario Serandrei. Scgf.: Gianni Polidori. Mus.: Franco Mannino. Int.: Anna Magnani (Maddalena Cecconi), Walter Chiari (Alberto Annovazzi), Tina Apicella (Maria Cecconi), Gastone Renzelli (Spartaco Cecconi), Tecla Scarano (maestra di recitazione), Arturo Bragaglia (fotografo), Lola Braccini (moglie del fotografo), Alessandro Blasetti (se stesso), Mario Chiari (se stesso). Prod.: Salvo D’Angelo per Film Bellissima. DCP. D.: 115’. Bn.
Scheda Film
Per anni, a proposito di Bellissima, si è scritto quasi esclusivamente del suo aspetto più evidente e concretamente visibile: quello di ritratto di un personaggio, disegnato a tutto tondo, con una storia cucita addosso alla perfezione, come a farne meglio risaltare spigolosità e sinuosità, riottosità e dolcezze. E in questo ‘ritorno al personaggio’ – non solo da parte di un autore che aveva esordito con un melodramma veristico a più voci e aveva proseguito con storia dalle forti connotazioni corali, ma soprattutto in un cinema dove la linea maestra pareva essere, e sotto molti aspetti era, quella del personaggio collettivo, del cronachismo ambientale, del quadro sociale – parvero soprattutto consistere lo scarto di Visconti dalla linea portante del neorealismo […]. A tale impressione, d’altronde, contribuivano le stesse dichiarazioni viscontiane, le quali non solo mettevano in luce l’interesse al ‘personaggio’, ma anche al lavoro con (e su) un tipico supporto del ‘film a personaggio’: l’interprete, l’attrice, anzi la “diva”, come il regista stesso teneva a definire la Magnani. […]
L’ipotesi è che […] quello del ‘mondo del cinema’ in Bellissima non sia affatto un “falso scopo” e che invece(chi può dire quanto consapevolmente e programmaticamente, e quanto no!) ciò che ha spinto Visconti verso quel soggetto sia stata la volontà di fare filtrare tramite un personaggio robustamente costruito e interpretato una verità di ben altra portata storica: che il cinema italiano del dopoguerra aveva cessato di essere il portatore e l’interprete della coscienza nazionalpopolare; che l’utopia neorealistica non aveva più nemmeno qualche precario fondamento residuo; che il rapporto fra ‘popolo’ e ‘cinema’ era ormai soltanto il rapporto tra un’illusione irrealizzabile e una macchina inesorabile; che, per adoperare le parole di Visconti, proprio a proposito di Bellissima nel cinema italiano “siamo di nuovo in periodo d’involuzione”. […] Appare chiaro che il terzo lungometraggio viscontiano costituisce già quel ‘superamento del neorealismo’ di cui il successivo Senso sarà poi più alta e più evidente espressione. […] Bellissima è uno dei primi e dei più consapevoli atti di morte dell’utopia neorealistica.
Lino Miccichè, Visconti e il neorealismo: Ossessione, La terra trema, Bellissima, Marsilio, Venezia 1998