LA DONNA NUDA

Carmine Gallone

S.: dalla commedia La femme nue di Henri Bataille. Sc.: Carmine Gallone. F.: Domenico Grimaldi. In.: Lyda Borelli (Lolette), Lamberto Picasso (Pierre Bernier), Ugo Piperno (Rouchard), Wanda Capodaglio (principessa), Ruggero Capodaglio. P.: Cines. 1600m. 35mm.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Edizione stabilita a partire da una copia positiva bianco-nera conservata dalla Cinémathèque Française e dal negativo originale senza didascalie conservato dalla Cineteca Italiana di Milano.
Il restauro è stato volto in particolare a salvaguardare la qualità fotografica del negativo originale e a bilanciare le forti differenze di contrasto tra i diversi elementi.
“[…] Certo che l’ingresso di Gallone nel cinema è irruento: nel 1914, suo primo anno d’attività, realizza dodici film, alcuni dei quali già di notevole impegno produttivo, e viene presto notato. E se dopo Il bel gesto un critico disattento lo chiama “il Gallona”, già nel 1915 Lucio D’ambra, recensendo La marcia nuziale, lo definisce “uno dei nostri migliori direttori”. Ed è vero che all’epoca pochi in Italia sapevano girare come lui. Lo si vede già dal suo secondo film, La donna nuda, che non è un capolavoro ma dimostra una notevole sapienza nell’uso dello spazio e delle lussuose scenografie stile Cines e contiene molte belle sequenze e idee di regia; citerò la scena del bosco, quando Lolette medita il suicidio: cadono copiosamente le foglie, il paesaggio partecipa alla malinconia e alla stanchezza del personaggio. O la splendida reticenza prodotta da un semplice raccordo di montaggio: la modella, che per poter curare l’amante ammalato è andata a posare per un’aristocratica e ambigua pittrice, si apparta con lei uscendo di campo. Subito dopo lo stacco, essa rientra in scena dallo stesso punto dell’inquadratura, ma questa volta abbracciata all’uomo ormai convalescente, guarito forse proprio grazie a quell’allusiva uscita di campo.
Lolette è Lyda Borelli, l’altra attrice che Gallone dirige con frequenza in questi anni oltre alla moglie (isolate le eccezioni, che si chiamano Diomira Jacobini, Diana Karenne, Leda Gys). Due dive che sono anche due donne esemplari del suo cinema. Soava sarà soprattutto la mamma, la giovane moglie tradita, la findanzata fedele nei melodrammi familiari che, assieme al dramma marinaro, costituiscono il genere da lui più praticato in questo periodo. Lyda sarà invece la modella, l’artista, la peccatrice nei grandi melodrammi della mondanità e della perdizione. Tale la vediamo nella festa di carnevale dell’unico rullo superstite de La falena, o in Fior di male, di cui esiste a Amsterdam una bella copia virata che esalta i tramonti, i paesaggi vuoti (ma anche certe illuminazioni ‘caravaggesche’) che amplificano la tristezza del personaggio decaduto. Paesaggi e primi piani sono anche gli strumenti stilistici di Malombra, visibile addirittura in videocassetta e di cui ricorderò solo che fu il primo film che colpì l’undicenne Luchino Visconti, che dopo averlo visto fuggì in barca su quello stesso lago che aveva ammirato così cupo e attraente sullo schermo. Un riferimento che serve per ora ad accostare due cineasti che, frequentando sempre mondi diversi, giunsero talvolta a risultati non troppo lontani.
(Alberto Farassino, Cinegrafie, n.7)

Copia proveniente da

Grazie al contributo di

PROJECTO LUMIÈRE