The Red Shoes

Michael Powell, Emeric Pressburger

T. it.: Scarpette rosse; Sog.: ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen; Scen.: Michael Powell, Emeric Pressburger; F.: Jack Cardiff; Mo.: Reginald Mills; Scgf.: Hein Heckroth, Arthur Lawson; Co.: Hein Heckroth; Mu.: Brian Easdale, The Royal Phillarmonic Orchestra, diretta da Sir Thomas Beecham; Su.: Charles Poulton, Al Berton; Int.: Anton Walbrook (Boris Lermontov), Marius Goring (Julian Craster), Moira Shearer (Vicky Page), Robert Helpmann (Ivan Boleslawsky), Jean Short (Terry), Léonide Massine (Griscia Ljubov), Gordon Littman (Ike), Albert Bassermann (Sergei Ratov), Austin Trevor (professor Palmer), Ludmilla Tchérina (Irina Boronskaja), Irene Browne (Lady Neston), Esmond Knight (Livingstone ‘Livy’ Montague), Eric Berry (Dimitri), Derek Elphinstone (Lord Oldham), Marie Rambert (Madame Rampert), Julia Lang, Bill Shine (coppia di amanti del balletto), Jerry Verno (guardiano), Joy Rawlins (Gladys), Marcel Poncin (M. Boudin), Michel Bazalgette (M. Rideaut), Yvonne André (sarta di Vicky); Prod.: Michael Powell, Emeric Pressburger per Les Archers; Pri. pro.: 6 settembre 1948 35mm. D.: 133’. Col. 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

M’è capitato spesso, nel corso degli anni, di ripensare a quel celebre scambio di battute in Scarpette rosse. [ndt: “Perché vuoi ballare?”/”Perché uno vuole vivere?”] Due battute che dicono tutto sull’urgenza assoluta dell’arte. Personalmente mi sono identificato con questo sentimento fin dalla prima volta che ho visto il film assieme a mio padre. Ero molto piccolo e quelle battute mi avevano fatto scoprire qualcosa che stava dentro di me, un’emozione travolgente che stava lì sullo schermo, nei colori, nel ritmo, nella bellezza… nel fatto di fare cinema. Pensate alla scena iniziale. Due persone serie in volto, vestite di nero, che vanno su e giù per un corridoio. Sullo sfondo due porte dietro le quali si percepisce un rumore di folla. Uno dei due fa cenno all’altro che è il momento di aprire. Subito dopo un fiume di studenti si lancia verso le scale per conquistare un posto a sedere per assistere a un balletto. Quel che li spinge è la loro passione, il loro bisogno di arte. Vogliono vederla, sentirla, lasciarsi ispirare dall’arte. Magari diventare artisti anche loro. La passione è quel che ispira ogni singolo fotogramma di Scarpette rosse, quel che rende le fantastiche immagini in Technicolor, ora splendidamente riportate alla loro brillantezza originale, così potenti e coinvolgenti. I personaggi e il mondo in cui vivono, ci vengono incontro con la stessa bellezza che loro cercano di creare nel film. I rossi accesi e i blu cupi, i gialli sgargianti e i neri profondi, la luminosità nei primi piani dei volti, a volte estatici, altre volte torturati, altre volte ancora le due cose assieme… così tanti momenti diversi, tante emozioni contrastanti, un vortice di luci, suoni e colori che si rincorrono nella mia testa fin dalla prima volta che ho visto il film. La prima di una lunga serie.

Scarpette rosse è il decimo film girato in coppia da Powell e Presburger (il settimo, per la loro casa di produzione, The Archers): due grandi artisti capaci di lavorare fianco a fianco in un caso quasi unico di collaborazione creativa. Come in tutti i loro film, anche qui Powell e Pressburger sono riusciti a mettere assieme una troupe di assoluta qualità: il grande direttore della fotografia Jack Cardiff, lo scenografo Hein Heckroth, l’autore delle musiche Brian Easdale, il leggendario Léonide Massine nel ruolo di Ljubov, che è anche autore e interprete della personaggio del ciabattino nel celebre balletto centrale. Oltre a questi il notevole cast comprende Anton Walbrook, Moira Shearer, Marius Goring, Ludmilla Tchérina, Albert Bassermann e Robert Helpmann che è pure il coreografo del film. Tutti assieme sono riusciti a creare qualcosa di emozionante e di indimenticabile. A mostrare quanto sia importante l’arte e a farlo dalla prima inquadratura all’ultima. A dimostrare che l’arte è una cosa per cui vale la pena vivere. E anche morire.

Vorrei ringraziare infine Bob Gitt e il suo gruppo dell’UCLA per i loro lavoro scrupoloso, la Hollywood Foreign Press Association per il loro generoso contributo finanziario e la Louis B. Mayer Foundation per la loro collaborazione. Quando avrete visto la nuova copia restaurata di Scarpette rosse sono sicuro che verrà voglia di farlo anche a voi.

Martin Scorsese, “Why do you want to dance?” “Why do you want to live?”, UCLA FIlm & Television Archive, 2009

Il restauro di Scarpette rosse ha tenuto impegnati l’UCLA Film & Television Archive e The Film Foundation per un periodo che va dall’autunno del 2006 fino alla primavera del 2009. Negli anni Ottanta il BFI e la Rank Film Distribution avevano già realizzato una copia ottica (da un nitrato infiammabile erano passati a una pellicola safety in acetato), utilizzando le migliori tecnologie disponibili all’epoca. Nell’intraprendere questo nuovo restauro la nostra filosofia è stata quella di partire dai risultati precedenti e di avvalerci delle moderne tecniche digitali per ottenere un prodotto finale (sia in pellicola che digitale) che fosse della massima qualità possibile. Abbiamo avuto la possibilità di accedere a oltre duecento bobine in 35mm in acetato o in nitrato tra cui le vecchie copie Technicolor “dye transfer”, master positivi in nitrato e in acetato, reperti originali della colonna sonora e – cosa più importante di tutte – i negativi camera del Technicolor a tre matrici. Per motivi qualitativi abbiamo scelto proprio questi ultimi come base di partenza per il nostro lavoro, anche se presentavano tutta una serie di problemi: il 65% del film aveva sbavature nel colore dovute al restringimento della pellicola e a volte agli aggiustamenti della macchina da presa durante le riprese; 176 inquadrature presentavano uno sfarfallamento del colore, marezzatura e “breathing” [ndt: quando il film va in maniera intermittente fuori fuoco o i colori perdono periodicamente definizione; non esiste un termine italiano], tutti difetti dovuti a un processo di sviluppo disomogeneo o a degenerazioni chimiche; settanta sequenze soffrivano di un contrasto esagerato oltre che di migliaia di evidenti puntini rossi, blu e verdi causati dai graffi o dallo sporco. Senza contare che la muffa aveva cominciato a colpire i vari rulli, mangiandosi progressivamente l’emulsione e lasciandosi dietro una serie di crepe e di fessure. Per rimediare a tutto questo, l’unica soluzione possibile era un restauro digitale. Warner Bros. Motion Picture Imaging e Prasad Corporation Ltd. si sono sobbarcati l’onere di scansionare digitalmente 579.000 fotogrammi direttamente dai negativi a tre matrici, ri-registrare i colori, rimuovere i graffi e lo sporco, ridurre il fenomeno di “breathing”, risolvere i problemi di contrasto, equalizzare il colore tra le diverse inquadrature e infine riversare tutti i 134 minuti su un internegativo Eastmancolor. Per ottenere un risultato della massima qualità possibile, ogni fase del restauro digitale è stata fatta con risoluzione 4K. Altre tecniche, ugualmente digitali, sono state necessarie alla Audio Mechanics per ripulire la colonna sonora ottica a densità variabile da fruscii, imperfezioni e dall’eccessivo rumore di fondo. Lungo il processo di restauro l’intero film è stato trasformato in zero e uno, riparato e poi di nuovo trasformato in cinema. Per ottenere il miglior risultato possibile abbiamo confrontato le nuove immagini digitali con quelle della copia Technicolor “dye transfer” e con quelle di una nuova copia Eastman ottenuta dai Cinetech Laboratories direttamente dai negativi camera a tre matrici. Grazie a questi ultimi aggiustamenti, la versione digitale definitiva riesce così da combinare le migliori qualità del film a colori moderno (migliore definizione, maggiore brillantezza) con i più piacevoli tratti del vecchio Technicolor “dye transfer” (colori vivaci, neri profondi, contrasti delicati e una grande varietà di toni sul volto degli attori). Abbiamo anche mantenuto il tradizionale segnale per il cambio rullo, un cerchietto color magenta circondato da un anello verde brillante. Il risultato finale è un restauro che combina il meglio del nostro passato con la qualità del nostro presente digitale.

Robert Gitt, Preservation Officer, UCLA Film & Television Archive

Copia proveniente da

Restauro realizzato da
In collaborazione con
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In collaborazione con

Restaurato da UCLA Film and Television Archive in collaborazione con BFI, The Film Foundation, ITV Global Entertainment Ltd. e Janus Films, con il supporto di Hollywood Foreign Press Association e di Louis B. Mayer Foundation. Supervisione al restauro di Robert Gitt e Barbara Whitehead