SPARTACO OVVERO IL GLADIATORE DELLA TRACIA
Sog : dal romanzo Spartaco di Raffaello Giovagnoli Scen : Renzo Chiosso Scgf : Domenico Gaido Int : Mario Guaita Ausonia (Spartaco), Maria Gandini (Narona) Prod : Pasquali DCP D : 90’ Col
Scheda Film
L’attitudine dello storico del cinema dev’essere quella di un San Tommaso: mai darsi. Per anni abbiamo creduto che fosse stato il Maciste di Bartolomeo Pagano in Cabiria (1914) a fornire il modello del nuovo genere dei forzuti o uomini forti, che si sviluppò in Italia tra i tardi anni Dieci e i primi Venti. Nel film Maciste (1915), il primo dove l’eroe è protagonista, il nostro punto di vista è quello di una ragazza che, su uno schermo cinematografico, vede il forzuto piegare le sbarre d’una grata di ferro, per liberare se stesso e il suo amico. Ma un anno prima di Cabiria, questa stessa scena dell’eroe che piega il ferro a mani nude era stata uno dei momenti chiave di Spartaco ovvero il gladiatore della Tracia, una produzione Pasquali con Mario Guaita/Ausonia (1881-1956) nel ruolo del leggendario Spartaco, lo schiavo che si ribella contro i corrotti patrizi romani.
La rivista italiana “La vita cinematografica” elogiò Guaita per “la bellezza plastica della sua gura, la prestanza e insieme l’agilità e la vigoria del suo corpo perfetto, lo sguardo vivo e penetrante, la sua scena scevra di qualsiasi appunto”. La pubblicità americana lo descrive come “un celebre lottatore e un ottimo attore italiano, il cui fisico e il cui viso dai tratti ben cesellati fanno di lui un magnifico prototipo dell’antico gladiatore”. E infatti in Spartaco la macchina da presa si concentra spesso sul torso nudo di Ausonia, sulle sue braccia muscolose e sul suo fermo e virile sguardo in macchina.
A quanto sembra, al distributore americano George Kleine Spartaco piacque tanto che nel 1914 coprodusse un secondo film epico con Ausonia, Salammbo. Per anni abbiamo avuto a disposizione solo una pessima edizione Dvd della versione americana del film, ma fortunatamente una copia nitrato originale è stata restaurata dalla Cineteca di Bologna.
Ivo Blom