Jake LaMotta: ascesa e declino di un campione

L’idea per il film incentrato sulle turbolente vicende della vita di LaMotta venne a Robert De Niro che propose il progetto ad uno Scorsese afflitto all’epoca da problemi personali, reduce peraltro dall’insuccesso di New York, New York.

Figlio di un italiano emigrato da Messina e di un’americana di origine ebrea, Jake LaMotta era nato a New York nel 1922 e aveva sempre vissuto nel Bronx, nelle cui strade fin da piccolo si era esibito in incontri improvvisati con gli altri bambini del quartiere allo scopo di racimolare qualche dollaro.

Già a 19 anni era entrato tra i professionisti della boxe iniziando un percorso che avrebbe poi trovato il suo apice nel 1949 con la vittoria del titolo mondiale. Rivale per eccellenza di uno dei più grandi pugili dell’epoca, l’afroamericano Sugar Ray Robinson, si congedò dal mondo della boxe nel 1954, proprio pochi anni dopo la rovinosa sconfitta subita sul ring contro di lui.

La disfatta fu accompagnata da notevoli problemi con la famiglia, le ripetute violenze domestiche, la galera, l’alcolismo, la reinvenzione di una vita da attore e cabarettista.

La tendenza autodistruttiva di Jake affascinò Scorsese. Il regista si sentì da una parte simile a questo personaggio a dir poco controverso, dall’altra capì la forte motivazione dell’amico e collaboratore De Niro:

Capivo perché Bob volesse a tutti i costi interpretare il ruolo di Jake La Motta. Proveniva dallo stesso ambiente di operai italoamericani; da ragazzi lui e il fratello erano due ladruncoli e questa era la storia di due fratelli, e così via.” (M. Scorsese).

In vista dell’inizio delle riprese, e poi sul set, LaMotta fu chiamato come consulente per l’attore. La lavorazione di Toro scatenato fu probabilmente la più complessa nella carriera di De Niro, che volle conoscere i parenti e i conoscenti del pugile, entrare nella sua vita e compiere una trasformazione fisica radicale per l’interpretazione. Lo sforzo, non a caso, gli valse un Oscar come miglior attore nel 1981. 

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