Dal romanzo al film: la ricostruzione della suspense

“Sentì il cigolio della porta del camerino, si voltò di scatto ed ebbe la stessa stretta al cuore di quando l’aveva vista al Waldorf, la stessa violenta emozione. Quella che aveva davanti era Madeleine rediviva, Madeleine che lo guardava impietrita, come se lo avesse riconosciuto, Madeleine che adesso avanzava verso di lui, un po’ pallida, con lo stesso sguardo interrogativo e triste che aveva in passato”.

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Negli anni Cinquanta la coppia di giallisti  Pierre Boileau e Thomas Narcejac stava godendo di grande fama. Da loro Hitchcock acquistò i diritti per la trasposizione cinematografica del romanzo, a metà tra poliziesco e ghost story, D’entre les morts

La scrittura della sceneggiatura di Vertigo conobbe molte peripezie e ritardi, ma in definitiva Hitchcock ed i suoi collaboratori mantennero intatta la struttura del romanzo, la dinamica | pedinamento – crisi di sdoppiamento di Madeleine – falso suicidio e omicidio – ritorno di Madeleine | (e infine rivelazione).
Alcune trovate e variazioni rispetto al testo di partenza furono però di fondamentale importanza per la riuscita del film che oggi è considerato tra i migliori capolavori (se non il migliore) della storia del cinema. 

Per cominciare, la vicenda venne trasferita dal vecchio al nuovo continente, da Parigi a San Francisco, città che regalava un tocco di mistero all’ambientazione e che ben si adattava ad incarnare la sensazione di vertigine grazie alle sue strade tortuose e al continuo alternarsi tra alto e basso imposto dalla pendenza che la caratterizza. 

In secondo luogo, grazie all’intervento dello sceneggiatore Samuel Taylor, fu introdotta la figura di Carlotta, antenata di Madeleine, portatrice di risonanze storiche e politiche che rievocano il passato coloniale della città.

La scelta più radicale e significativa fu tuttavia quella di svelare la verità allo spettatore alla fine della prima parte del film. 

Se nel romanzo infatti la soluzione all’enigma della triplice identità di Madeleine arrivava solo nel  finale, in linea con la tradizione del giallo, Hitchcock decise invece di scoprire le carte a metà e, da quel momento, di separare le strade del protagonista e dello spettatore.

“Nel film ho proceduto in modo diverso. All’inizio della seconda parte quando Stewart ha incontrato la donna bruna, ho deciso di svelare subito la verità, ma soltanto allo spettatore […]. Intorno a me tutti erano contrari a questo cambiamento” spiegò il regista a Truffaut durante il famoso colloquio che divenne poi il libro intervista Il cinema secondo Hitchcock

È in questo passaggio che emerge, ancora oggi,  la maestria indiscussa del re del brivido: piuttosto che costruire una meccanica della suspense basata su “chi sarà il colpevole?” egli mette al corrente lo spettatore e lo porta a chiedersi “come reagirà l’ignaro protagonista quando scoprirà la verità?”, lasciando così al pubblico il piacere di “giocare a fare Dio”, per usare una sua geniale espressione. 

“Se il pubblico lo sa, se gli sono stati raccontati tutti i segreti che i personaggi non conoscono, allora parteciperà con trasporto perché sa a quale destino vanno incontro i poveri attori. È questo che si chiama giocare a Dio. Questa è la suspense”.
Sidney Gottlieb (a cura di), Hitchcock secondo Hitchcock, 1995

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