Per dirigere una buona commedia bisogna essere molto seri
Allievo di uno dei più amati registi della storia del cinema, Ernst Lubitsch, ed erede di quel particolare Lubitsch’s touch cui ci si riferisce di solito per indicare la sua peculiare capacità di adottare soluzioni registiche brillanti, mai scontate e sempre perfettamente coerenti, Billy Wilder ha sempre preferito uno stile di regia che puntasse alla chiarezza, ed evitasse inutili virtuosismi.
La sua dichiarazione “io non faccio cinema, faccio film” colpì molto la critica a lui contemporanea e a questo proposito Wilder, provocatorio, ironico e umilissimo a un tempo, disse:
“Sì, è proprio così. Io non faccio cinema, faccio film, film per divertire. Tra le due cose c’è la stessa differenza che passa tra un tomo rilegato e un racconto settimanale a puntate. In altre parole sono cose fatte per essere apprezzate nel momento in cui escono, non per durare”.
Rigoroso, ma anche disponibile e aperto nei confronti dei propri collaboratori e degli attori, sul set Wilder sapeva creare un’atmosfera serena, sapeva divertirsi e lasciare che gli altri si divertissero.
L’appartamento venne girato in cinquanta giorni e montato in meno di una settimana, tempi brevissimi dovuti ad una perfetta consapevolezza di cosa e come girare.
L’idea di base di ogni film consiste nel riprodurre sullo schermo tutto quello che si è messo prima su carta. Tutto quanto in modo da renderlo più chiaro.
“Io non ho mai ripreso un volto da una certa angolatura, poi da un’altra, poi da un’altra ancora. No, io ho sempre girato una sola inquadratura. Non mi affannavo mai a cercare un’angolatura troppo particolare. Stavo solo attento a girare le scene in modo coordinato per i tagli giusti”.
L’appartamento non fa eccezione. L’uso frequente di totali e e panoramiche dall’alto è funzionale a rendere l’idea che Baxter sia piccolo, solo, ma in lotta con ciò che sembra soggiogarlo: una società schiacciante, corrotta, votata al profitto, omologatrice.
Dal punto di vista della composizione visiva del film, si nota invece l’alternanza conflittuale tra verticalità e orizzontalità, sintesi figurativa del tema dell’arrampicata sociale. Se da una parte l’architettura del palazzo in cui Baxter lavora, la disposizione gerarchica degli uffici e la centralità dell’ascensore rappresentano con chiarezza le aspirazioni fasulle del protagonista, dall’altra il suo vagare per lunghi rettilinei, in solitaria, aderisce perfettamente ai suoi momenti di frustrazione.