Progetto Chaplin: Dossier Florey

“Mio caro Maurice, ho appena ricevuto la tua lettera del 23 nella quale mi chiedi a quale progetto stia lavorando in questo momento. Te ne parlerò, ma solo a patto che tu non riveli a nessuno, lì a Parigi, il contenuto di questa lettera. Qualche mese fa Charlie mi ha letto il suo manoscritto e a seguito di lunghe conversazioni sull’argomento mi ha chiesto di dirigere il suo film. […] Ci ho riflettuto molto, per la prima volta nella sua brillante carriera Charlie domandava a un altro regista di lavorare con lui, e questo regista ero io; io che nel 1915 facevo la fila davanti ai cinema per andare a vedere Charlot. […] Charlot è il proprietario degli studi e il produttore del film, abbiamo opinioni piuttosto diverse, non solo per quanto riguarda l’autenticità dell’elemento francese del film ma anche per il modo di inquadrare una scena o di illuminare il set. Discutiamo costantemente. Faccio ricorso a tutta la mia diplomazia ma credo di potermi considerare un tecnico di prim’ordine, di aver maturato una certa esperienza e so come ottenere le inquadrature che voglio, che sono tutt’altro che arcaiche. Penso che da un momento all’altro la nostra collaborazione potrebbe interrompersi e per questo voglio che la stampa francese non ne sappia niente”.

Tra il maggio e l’autunno del 1946 Robert Florey lavorò come assistente alla regia di Charlie Chaplin al film Monsieur Verdoux. Di quei mesi conserviamo tra l’altro alcune lettere all’amico e confidente Maurice Bessy (editore della rivista “Cinémonde”, collezionista, collaboratore di Welles e Duvivier, uomo di cinema…) con il quale qualche anno dopo Florey firmerà il libro Monsieur Chaplin ou le rire dans la nuit.

Nessuno di esterno ai fedelissimi – Reeves, Bergman, Totheroh e pochi altri – era stato fino a quel momento così vicino a Chaplin da poterne raccontare le zone d’ombra, i malumori e le insicurezze. Florey era senz’altro consapevole dell’eccezionalità della sua posizione tanto che arrivò a far stenografare le indicazioni (e le imprecazioni) di Chaplin ai suoi collaboratori durante una delle scene girate insieme. Eppure dalla corrispondenza con Bessy o dallo scrapbook di disegni, schizzi, appunti, presumibilmente sottratti dal set, trapela ancora l’ammirazione incondizionata di Florey per ‘Charlot’ come lo chiama, o ‘le vieux Maître’.

Siamo nel 1946 e forse per la prima volta Chaplin, che aveva incarnato i suoi tempi come nessun altro prima di lui (“come se il ritmo stesso del suo corpo in movimento fosse quello del mondo” aveva detto Cocteau) avvertiva uno scollamento dal cinema e dal linguaggio del cinema, dalla sua epoca e dal ‘Sistema America’. “Verdoux è la metamorfosi di Charlot nel suo contrario” scriverà Bazin. L’occhio di Florey registrò questa metamorfosi.

(Cecilia Cenciarelli)

Sezione a cura di Cecilia Cenciarelli

In collaborazione con Kevin Brownlow