L’invenzione dell’amore
Mi sono imbattuta nell’Invenzione dell’amore in un giorno d’autunno, a Lisbona, nel 2002. Vivevo in quella città già da qualche mese, avevo studiato portoghese, ma era la prima volta che la parola scritta e straniera diventava improvvisamente viva, guizzante, come qualcosa che premeva per uscire fuori dalla pagina.
Uscire, correre, cantare: sentii un’insolita urgenza di declamare a tutti quella poesia, di liberarla dalla mia stanza e portarla in giro per le strade, tra gli sconosciuti. E così mi trovai a scrivere dei manifesti con degli estratti del poema, per qualche mese ne feci trentacinque a settimana, che attaccavo di notte per le strade. Al fondo del manifesto, al posto dei numeri di telefono che in genere negli annunci si strappano via, i passanti trovavano delle parole della poesia ritagliate in piccole strisce, da staccare e portare con sé. Mi sembrava importante che quelle parole si disperdessero tra la gente, come semi. Che non fossero più ‘parole di pagina’, ma messaggi da strappare via, scambiare, accartocciare, appiccicare.
Adesso è il 2020, e questo poema è ancora ardente. Daniel Filipe, poeta capoverdiano perseguitato dalla dittatura di Salazar, non riuscì neanche a sapere che le sue parole divennero nel 1974 uno dei canti della rivoluzione. Morì infatti prematuramente, a soli trentotto anni, senza poter assistere al rovesciamento e alla liberazione del 25 aprile portoghese.
Nei giorni della quarantena le sue parole mi sono tornate alla mente, le ho cercate e infine ritrovate: ho subito chiamato Mara Cerri, Fausta Orecchio, Luciana Fina e gli amici di Else edizioni: traduciamolo, disegniamolo, stampiamolo, facciamo un libro-manifesto, diffondiamo l’amore imperativo di Daniel Filipe!
E così abbiamo scoperto che queste parole riescono ancora oggi a raccontare vivamente un’epidemia inversa a quella in cui ci troviamo, un’epidemia di speranza come un fiore che sboccia dentro la nostra memoria. Per il tempo a venire.
Alice Rohrwacher
È il 2020, marzo, stagione distopica in cui È decretata la necessità di un’inedita distanza tra le persone. Eppure un’invenzione riapre in quel momento un respiro tra tempi e luoghi distanti.
Alice mi chiama dall’Italia mentre mi confronto con il difficile appello all’isolamento e sono in Alentejo, vicino Grândola. È alla ricerca dell’edizione originale di A Invenção do Amor, il poema di Daniel Filipe e mi propone di tradurlo con lei, vuole preparare una serie di manifesti per il 25 aprile, la data coincidente che a circa trent’anni di distanza ha illuminato la storia portoghese e italiana. Quei versi entrano nelle mie giornate. E presto si dispiegano, valicando tempi e distanze. Il 25 aprile le parole del poema si diffondono sui manifesti affissi nelle città italiane, con i disegni di Mara Cerri, nasce poi il progetto del libro e le serigrafie con Else Edizioni, con la complicità di Marco Carsetti, Chiara Mammarella e Fausta Orecchio.
E rivediamo insieme felicemente il film di António Campos, realizzato nel 1965 a soli quattro anni dalla scrittura del poema, ancora sotto il regime dell’Estado Novo e il controllo della PIDE. Cineasta di provincia, sconosciuto ai più, figura solitaria e romantica, Campos lavorava per scelta solo con i propri mezzi, fuori dal sistema e fuori dal suo tempo, preferendo la pellicola 8 o 16mm, l’arduo lavoro senza contropartite. È una delle prime figure di culto del documentario portoghese, libero da canoni, fu apprezzato dagli stessi autori del Cinema Novo per la singolarità della sua scrittura cinematografica e proprio per la sua indipendenza. Il suo film, gesto libero e visionario, è anch’esso un’invenzione dal segno contrario al tempo che attraversiamo.
Dal 1961 il poema di Daniel Filipe ha fatto sognare l’amore e la rivoluzione a generazioni di portoghesi. Reinterpretato per il cinema da António Campos, registrato su vinile con la stessa voce del poeta, rappresentato in teatro in diverse epoche, sprigiona oggi nuovi gesti, per farci sognare ancora. Grazie ad Alice e alla complicità di Mara, Marco, Chiara e Fausta, grazie a Ernesto Rodrigues e Marcelo Felix, che a Lisbona mi hanno aiutato nella ricerca dell’edizione originale del poema e della copia del film, grazie alla Cinemateca Portuguesa, a Gian Luca Farinelli, al festival e il suo pubblico, l’invenzione è qui ritrovata.
Luciana Fina