Cento anni fa: i film del 1906
Nel passaggio dal 1905 al 1906 un fatto rimane saldamente immutato: lo strapotere sul mercato cinematografico della Pathé. Segue, a buona distanza, la rivale storica Gaumont. È però un mercato sempre più affamato di novità, dove si impone chi è capace di raggiungere attraverso un adeguato sistema di distribuzione il maggior numero di luoghi di proiezione e spettatori. L’estero assorbe grandissima parte della produzione francese; l’apertura di succursali in giro per il mondo è indispensabile al consolidamento di una posizione dominante. Gli Stati Uniti possono godere per privilegio naturale di una rete ampia e capillare di sale di proiezione e vivono, proprio a cavallo tra il 1905 e il 1907, il boom dei nickelodeon: è su questo terreno che la Vitagraph inizia a conoscere una vivacissima fioritura attuando strategie innovative di promozione e avvalendosi di numerosi uffici di distribuzione che le permetteranno di primeggiare anche in Europa.
All’ombra dei colossi nascono diverse case di produzione su basi finanziarie consistenti e strutturate secondo i ritmi regolari e i modi di produzione dell’industria capitalistica. Tutto ciò si traduce in adeguate strutture tecniche e organizzative, in attività produttive sistematiche e seriali, in una regolare immissione settimanale di novità sul mercato, in una tendenza generale alla specializzazione, attuata sul campo da piccole unità che annoverano regista, operatore e attori impegnati sullo stesso tema o genere. Infine, in un potenziamento degli studi e dei teatri di posa che permettono da un lato un aumento della produzione, dall’altro un maggiore controllo della messa in scena.
Il 1906 vede la nascita, tra le altre, della Nordisk Films Kompagni, della Lux, della Eclipse (già succursale parigina della Urban Trading, la maggiore fra le società inglesi). La produzione italiana fiorisce attorno alla romana Cines, erede della onorata Alberini e Santoni, e alla torinese Ambrosio. Il cinema assiste a una singolare quanto felice convergenza di capitale, industria e sviluppo tecnico, grazie all’interessamento diretto di banche e società elettriche che consentono alla produzione un respiro più ampio. Prende piede l’idea che lo spettacolo, perché tenga il passo coi tempi, deve essere come un ingranaggio che va oliato con ingenti finanze.
Del resto, è sufficiente controllare il metraggio dei film per rendersi conto del cambiamento in corso. Nel 1906, in una crescita esponenziale, metà dei prodotti Pathé supera i 100 metri. Di pari passo con la lunghezza, aumenta la complessità della narrazione. Presso la neonata Nordisk, ad esempio, metà dei lungometraggi dei primi anni è di soggetto drammatico. La sceneggiatura conosce uno sviluppo considerevole, la messa in scena è sottoposta a un controllo più stretto. Il trucco diventa un dispositivo da piegare ai fini del racconto e il film a trucchi tende a confluire in altri generi. Le attualità ricostruite lasciano il posto a quelle “dal vero” e sono sempre più le produzioni che dispongono di mezzi sufficienti a inviare i propri operatori in giro per il mondo.
La vitalità del cinema trae forza dalla circolazione delle idee, dal confronto reciproco, dallo scambio, prassi tanto squisitamente equivoche e sottili da rischiare di passare per plagio. È anche una storia di transfughi e avventurieri, contesi a moneta sonante. Gaston Velle, il celebre metteur en scène della Pathé, attirato dalle lusinghe della Cines lascia la manifattura di Parigi e affianca, in qualità di direttore artistico, il direttore tecnico Filoteo Alberini, firmando delle copie quasi esatte di soggetti da lui stesso già realizzati in Francia. Salvo poi fare dietro front l’anno successivo, ritornare dal suo vecchio patron e ripetere, à l’envers, la medesima operazione, lasciando dietro di sé uno strascico di accuse e recriminazioni. Eclatante il caso di Charles Lucien Lépine, regista dalla tecnica evoluta e subentrato in casa Pathé a Gaston Velle. Anch’egli tenterà l’avventura italiana a Torino presso la Carlo Rossi, destinata a diventare nel 1908 l’Itala Film, ma l’abbandono della ditta parigina gli costerà temporaneamente la galera.
Il cinema, in netta espansione, mette radici. Se gli spettacoli nella fiere e l’attività degli ambulanti, soprattutto in provincia, restano redditizi, l’esercizio nelle grandi città è ormai pratica consolidata. La prima sala di lusso a Parigi è la Omnia, al 5 del boulevard Montmartre, inaugurata nel dicembre del 1906: il suo fiore all’occhiello sono i film in prima visione, il programma è rinnovato ogni venerdì. Spesso le sale sono di proprietà di ex ambulanti e fieraioli e in ciò Bologna non fa eccezione. Basti pensare al Cinema Marconi di via Rizzoli, prima sala fissa della città dal 1904, di proprietà di Guglielmo Cattaneo, ex ambulante. Corridoio un tempo adibito a pescheria, è la cerniera tra vecchio e nuovo mondo, chiuso e poi riaperto una volta rimesso a norma. Così sulle pagine dell’Avvenire, il 21 novembre 1906, si dà notizia della sua seconda vita: “La sala è stata divisa in scompartimenti speciali, dove sono designati i posti di primo e secondo ordine; vi si è eretto un palco elegante su cui tutte le sere durante le proiezioni suona uno scelto concertino e si sono aggiunte decorazioni che la rendono più gaia. Tali innovazioni contribuiscono a richiamare al cinematografo sempre maggior pubblico”. Dal 1906 risalta un quadro meravigliosamente in movimento, in cui convivono fianco a fianco diverse forme di produzione e fruizione: sale fisse e fiere stagionali, impresari ambulanti e direttori artistici, film a soggetto drammatico e attualità dal vero, ricercate ricostruzioni storiche e brevi divertissement comici. Con gli otto programmi che presentiamo, grazie anche ai consigli di Mariann Lewinsky, cercheremo, pur se parzialmente, di aprire qualche scrigno per restituire la vitalità sovente imprevedibile di quest’epoca. Serge Bromberg e Henri Bousquet hanno selezionato alcune delle gemme più significative della Pathé; Agnès Bertola si concentra sulla rivale Gaumont; Bryony Dixon fa luce sulla poco conosciuta produzione inglese, mentre Jon Gartenberg ripercorre i primi fasti della Vitagraph; Giovanni Lasi si sofferma sulla produzione italiana aprendola al confronto con altre importanti case europee nascenti; l’attività di due pionieri dello spettacolo cinematografico rivive nel programma di Camille Blot-Wellens dedicato a Antonino Sagarmínaga e in quello di Nikolaus Wostry sulla collezione di Karl Juhasz.
Luigi Virgolin, Andrea Meneghelli