Sotto i cieli di Seul: l’epoca d’oro del cinema sudcoreano

Programma a cura di Cho Hyun Jin e Jung Minhwa
In collaborazione con Istituto Culturale Coreano in Italia

 

La prima grande rassegna del Cinema Ritrovato dedicata al cinema sudcoreano presenta alcune opere fondamentali degli anni Sessanta, decennio in cui i primi autori coreani diedero vita a film enormemente popolari e al contempo artisticamente audaci.
Le ragioni della nascita di quest’epoca d’oro sono complesse. Progressi tecnologici come il colore o il formato widescreen rivestirono un ruolo importante, ma anche il contesto politico ebbe il suo peso. Tra la Rivoluzione d’aprile del 1960 e il colpo di stato militare del maggio 1961 la censura governativa si allentò sensibilmente. Le leggi sul cinema tentarono poi di rafforzare la produzione nazionale imponendo un limite rigido alle importazioni di titoli stranieri, determinando così un boom di film sudcoreani. Non solo il numero delle produzioni e l’affluenza nelle sale aumentarono notevolmente, ma ci fu anche una significativa diversificazione dei generi e vennero introdotte numerose tecniche cinematografiche innovative.
La rassegna si incentra su cinque registi tra i più prolifici dell’epoca. Iniziamo con Kim Ki-young, noto per il suo approccio estremamente originale al cinema indipendente. Per commemorarne il centenario della nascita presentiamo il suo film più famoso a livello internazionale, Hanyeo (La cameriera, 1960), insieme alla prima mondiale della versione restaurata del classico Goryeojang (1963). Entrambi i film riflettono l’instabilità politica dell’epoca attraverso personaggi profondamente allegorici e un preciso stile visivo. Primo film a colori in CinemaScope, Seong Chun-hyang (La storia di Chunhyang, 1961) di Shin Sang-ok segnò la nascita di un impero cinematografico – la Shin Films – destinato a segnare il cinema coreano per la restante parte del decennio, producendo oltre centocinquanta titoli. Il breve periodo di libertà creativa all’inizio degli anni Sessanta accompagnò l’uscita di un altro film esaltato dalla critica, Obaltan (La pallottola vagante, 1961) di Yu Hyun-mok, che descriveva le disperate condizioni di vita nel distretto di Haebangchon a Seul dopo la guerra di Corea. Hyeolmaek (Generazioni, 1963) di Kim Soo-yong – ambientato nel medesimo quartiere – impose un salto di qualità al nascente cinema realista coreano con la sua toccante descrizione delle vite degli abitanti. Nell’adattare un celebre racconto, Angae (Nebbia, 1967) utilizza un approccio radicalmente diverso e, insieme a Hyuil (Giorno libero, 1968, messo al bando e scomparso dalla circolazione fino al 2005) di Lee Man-hee, costituisce uno dei pochi film compiutamente modernisti dell’epoca. Se il decennio si aprì con l’ottimismo della Rivoluzione d’aprile, la seconda metà degli anni Sessanta portò con sé un senso di disperazione e di risentimento. Questi film colgono alla perfezione lo spirito di quell’epoca precaria.
La rassegna non sarebbe stata possibile senza il generoso sostegno del Korean Film Archive, che ci ha messo a disposizione le copie dei film ed eccellenti restauri.

Cho Hyun Jin e Jung Minhwa

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