Poeti ribelli e spiriti rivoluzionari: il Parallel Cinema indiano

A cura di Shivendra Singh Dungarpur, Cecilia Cenciarelli e Omar Ahmed 

Che cos’è il Parallel Cinema? Dopo cinquant’anni, rimane ancora una questione aperta. È un movimento, un genere, una rivoluzione, un nuovo linguaggio cinematografico? Spesso utilizzato in modo improprio come sinonimo di cinema sperimentale, non convenzionale o semplicemente in antitesi al cinema mainstream o populista, il Parallel Cinema è un fenomeno estremamente ricco ed esteso, complesso da definire. La sua genesi affonda le radici nel Manifesto del movimento per il nuovo cinema pubblicato nel 1968 dai registi Arun Kaul e Mrinal Sen. L’anno successivo, l’uscita di un trittico di opere innovatrici come Bhuvan Shome di Mrinal Sen, Uski Roti di Mani Kaul e Sara Akash di Basu Chatterjee segna l’inizio di una delle congiunture più creative e radicali del cinema indiano. Questi tre film furono prodotti dalla nascente Film Finance Corporation, ente istituito dallo stato per concedere prestiti a bassi interessi alle produzioni, che avrà un ruolo chiave nella definizione e nelle future declinazioni del Parallel Cinema. Il nostro programma guarda ai suoi anni fondativi (1968-1976), caratterizzati da diversi flussi creativi che scorrono in molteplici direzioni, assorbendo l’influenza delle nouvelle vague europee così come l’ideologia di stampo comunista e l’estetica del cinema bengalese.
Grazie ad archivisti e ai curatori di tre continenti, questo omaggio ci ha dato la possibilità di effettuare una ricognizione a livello globale, di localizzare cioè una parte importante di opere del Parallel Cinema nella speranza che vengano conservate o restaurate. Sarebbe stato impossibile realizzare questo programma senza la generosità e l’incrollabile entusiasmo di Shivendra Singh Dungarpur, che ha viaggiato tra due lockdown per verificare di persona lo stato di molte delle copie che presentiamo.
Siamo entusiasti di presentare film come Bhuvan Shome (1969), Maya Darpan (1972), Ghatashraddha (1977) e Kummatty (1979), opere non convenzionali che incarnano lo spirito radicale del Parallel Cinema. È molto raro vedere i film di due poeti come Govindan Aravindan e Kumar Shahani ed era per noi essenziale riconoscere il loro fondamentale contributo estetico e intellettuale. Con questa selezione, necessariamente parziale, abbiamo anche voluto raccontare la nascita delle cinematografie regionali avvenuta grazie a quegli autori che per primi hanno utilizzato nei loro film gli idiomi locali. È il caso di Adoor Gopalakrishnan, G. Aravindan e John Abraham per l’industria malayalam; Goutam Ghose, Buddhadeb Dasgupta e Aparna Sen per il cinema bengalese; Girish Kasaravalli, Girish Karnad e B.V. Karanth per l’idioma kannada e così via. Ci auguriamo che questo programma segni un nuovo inizio per il Parallel Cinema, il cui contributo alla storia del cinema merita un posto accanto al neorealismo, alla nouvelle vague, al nuovo cinema tedesco e al cinema novo.
Un sincero ringraziamento a Kiran Dhiwar, Mike Mashon e Jon Shibata per il loro prezioso contributo.

Omar Ahmed e Cecilia Cenciarelli 

 

Mentre mi accingo a scrivere queste note sul Parallel Cinema mi tornano in mente tutte le conversazioni indimenticabili avute nel corso degli anni con molti dei cineasti che furono al centro di questo movimento artistico di rottura. Kumar Shahani, per esempio, ricordava il periodo in cui fu allievo di Ritwik Ghatak al Film and Television Institute of India di Pune, e sottolineava come le lezioni sotto l’‘albero della saggezza’ avessero plasmato profondamente la sua visione. Per il suo diploma Shahani girò uno straordinario film sperimentale, The Glass Pane (1966). Tra gli insegnanti di Shahani c’era anche Mrinal Sen, che a proposito del film affermò: “Adoravo lavorare con gli studenti, girare in condizioni avverse. Nel 1968, grazie a un prestito della Film Finance Corporation formai un gruppo: quasi nessuno possedeva una vocazione commerciale ma avevano coraggio ed energia da vendere. Quando chiesi a K.K. Mahajan di occuparsi della fotografia, lui accettò senza esitare, fu una sorta di atto d’amore”. Il legame tra The Glass Pane e Bhuvan Shome di Mrinal Sen innescò una specie di reazione a catena che sfociò in una vera rivoluzione artistica.
Avendo girato CzechMate: In Search of Jiří Menzel, un documentario sulla nová vlna cecoslovacca, non posso che rintracciare delle analogie tra questo movimento, germogliato attorno alla FAMU (la scuola di cinema praghese) e sostenuto economicamente dal governo, e il Parallel Cinema. Anche in questo caso, uno dei tratti fondamentali fu la straordinaria sinergia che si instaurò tra cineasti e archivisti in veste di docenti.
Mentre Ghatak insegnava ai suoi studenti – tra cui Shahani, Mani Kaul, John Abraham e altri – l’arte e la grammatica del cinema, incoraggiandoli a valicare i limiti delle convenzioni, dall’altro P.K. Nair – archivista e fondatore nel 1964 del National Film Archive of India – si procurava con ogni mezzo, incluso il furto, copie dei film di Aleksandr Dovženko, Luis Buñuel, Andrej Tarkovskij e Sergej Paradžanov da mostrare ai suoi studenti. Narra la leggenda che una volta John Abraham bussò alla porta di P.K. Nair chiedendogli di mostrargli Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, nel cuore della notte… E fu accontentato!
Avendo io stesso frequentato la scuola di Pune, ho visto con i miei occhi quanto la figura di P.K. Nair abbia influenzato intere generazioni di registi indiani. Nessuna però eguagliò quella dei poeti ribelli del Parallel Cinema che, seguendo l’opera dei precursori come Satyajit Ray, Ritwik Ghatak o Mrinal Sen, trasformarono il cinema indiano. All’interno di un collettivo ribelle, ognuno di loro mantenne un’individualità autoriale: è giunto il momento di far rivivere e apprezzare il loro immenso lascito artistico.

Shivendra Singh Dungarpur